mercoledì 1 dicembre 2010

Intervista a cura di Sergio Paoli su "Rumori di fondo"

Ringrazio Sergio per le belle domande e la disponibilità, trovate l'intervista sul suo blog all'indirizzo: hotmag.me/rumoridifondo/?p=477


Adamo Dagradi, classe ’74, giornalista e scrittore, da Verona, ha scritto “La felicità dei cani” (Mursia, 2009).

E prima, durante e dopo cosa hai fatto?

Prima di scrivere “La felicità dei cani” ho sporcato pannolini per qualche anno, sono andato  alle elementari, ho iniziato a mostrare i primi sintomi del mio essere nerd alle medie, colpa di “Guerre stellari”, del “Signore degli Anelli” (il libro) e dei giochi di ruolo. La cosa è andata avanti parecchio: di solito quando non hai la morosa scrivere ti viene facile e ti sembra una buona idea. Prima raccontini fantastici, poi qualcosa di più serio, fotogrammi narrativi rubati a una grande città d’invenzione, qualche inizio di romanzo abortito. “La Felicità” ha avuto anni di gestazione, con lunghe pause. Dopo ho fatto il giornalista (critico cinematografico) e ho scritto il seguito, che spero uscirà nei primi mesi dell’anno prossimo, forse prima. Cinque mesi fa mi sono sposato, quindi mi considero de-nerdizzato d’ufficio.

“Non ho mai battuto un tasto del computer senza una colonna sonora.” Spiegaci.
Quando scrivo, uno dei miei intenti principali è quello di trasmettere un’atmosfera. Per farlo mi aiuto con la musica. Ho una discreta collezione di cd, molti dei quali strumentali, che mi aiutano a prendere e mantenere il ritmo. Senza il mio stereo o l’iPod sono in guai seri.

Se dico “Frankie Machine”, cosa ti viene in mente.

Il protagonista di un romanzo capolavoro di Nelson Algren: “L’uomo dal braccio d’oro”, portato al cinema da Otto Preminger con Frank Sinatra. È anche il nome del protagonista mafioso di un romanzo più recente che non ho letto e di cui vorrebbero fare un film con Bob De Niro.

“C’è un filtro, però, nell’attaccamento nostrano alle storie di provincia, nell’insistenza politica, nella refrattarietà all’azione, che mi ha sempre tenuto lontano dal giallo targato Italia.” Mi vengono due domande. La prima: non ti sei stufato delle classificazioni di genere?

Mi stuferò delle classificazioni di genere quando l’Italia ritroverà i suoi generi perduti. Prima di allora avremo ancora bisogno di qualche distinzione. Datemi un po’ di azione o di horror tricolori capaci di raggiungere il grande pubblico (non è un problema di autori ma di editori, o di produttori, nel caso del cinema) e poi mi metterò tranquillo sui generi. Se io scrivo un poliziesco, con dentro scene d’azione e atmosfere metropolitane hard boiled, non voglio che i miei personaggi siano confusi con qualche commissario di paese che pensa più al vinello e al salame che ai casi. Chi prova a trascendere dall’osteria, se non si chiama Faletti, viene subito bollato con la famosa “americanata” e relegato in fondo agli scaffali. Piuttosto di scrivere “italianate” lo accetto volentieri…

La seconda: quale è questo filtro?

Quello che impedisce agli artisti italiani di pensare in grande; che li spinge verso l’ultraregionale; che li obbliga, per trovare consensi intellettuali, a mettere politica dappertutto.

Questa specie di ossessione della provincia, da parte degli editori , la capisco, l’ho provata sulla mia pelle e sono d’accordo con te. Non ho capito però cosa intendi quando parli di “mettere politica dappertutto”. Se scegli una dimensione non provinciale, non da osteria o da commissario di paese può scapparci la politica, o no?

Premessa: ciò che penso io non è necessariamente valido per gli altri. Questo sono considerazioni personali in cerca di consenso, che sicuramente troveranno altrettanto dissenso…Prendiamo tre ottimi autori di thriller contemporanei: Michael Connelly, John Connolly e Jeffrey Deaver. Due americani e un irlandese. Ci metterei Larsson ma ho dovuto vedere i film, bruttini, prima di mettere le mani sui libri e mi è passata la voglia di leggerlo. I tre anglosassoni non mettono mai una stilla di politica nei loro libri e sono autori di bestseller mondiali, Connelly e Connolly hanno anche uno stile forte, evocativo e ben riconoscibile. Larsson, da buon europeo, la politica ce la mette: da quello che mi dicono, però, sono discorsi generali, non immediatamente applicabili all’attualità. In Italia, spesso e volentieri, nella letteratura come nelle altre arti, si citano nomi e cognomi e si prendono posizioni continuamente. Credo che questo, ambientazioni di paese o città a parte, alieni molti lettori e inquini la narrazione, facendo sentire troppo alta la voce dell’autore in momenti che richiederebbero meno “impegno” e più attenzione alla narrazione o ai personaggi. Tutto qui. Io non auspico un mondo letterario senza politica, ci mancherebbe altro, soprattutto in questo momento di grottesca decadenza nazionale. Auspico un mondo artistico che, per il gusto di raccontare delle belle storie, possa fare anche a meno della politica.

Adrenalina, atmosfera e introspezione. Gli ingredienti per un ottimo romanzo?
I tre che hai detto e uno stile che susciti emozioni al lettore; ci vogliono anche buoni personaggi, tridimensionali. Altrimenti le emozioni non hanno nulla a cui aggrapparsi.

Cosa è successo al cinema Grifone di Rapallo, ventotto anni fa?

Ho visto per la prima volta “Blade Runner” è sono rimasto sconvolto. Non solo è diventato il mio film preferito, mi è entrato sotto la pelle: l’atmosfera dark, la malinconia, le esplosioni di violenza, la poesia. Tutto miscelato in un equilibrio perfetto, all’interno di una confezione visiva superba. Ha dimostrato che era possibile dare grande profondità anche a prodotti popolari come quelli di fantascienza.

Mi ha colpito sentirti parlare de “La felicità dei cani” come di un poliziesco corale. “Corale” lo uso a volte anche io, per i miei romanzi. Spiegaci meglio cosa intendi.

Per me un romanzo corale è un’opera che offre al lettore diversi punti di vista sulla medesima situazione: nel mio libro scopriamo cosa pensano i poliziotti, i malviventi e anche molti personaggi che vengono coinvolti tangenzialmente. Tante voci che si sovrappongono per raccontare una storia che si frammenta diventando mille storie più piccole.

“Un giallo deve essere scritto bene come ogni altro libro.” Cioè?

I giallisti, abituati a subire ogni genere di snobismo dagli scrittori di materie “alte”, sviluppano spesso una specie di timidezza stilistica: si ritirano verso un linguaggio un po’ grigio, asservito ai colpi di scena e agli incastri narrativi. Ma un giallo non è solo un meccanismo, ha bisogno di stile, di personalità: quelli di Chandler hanno trame al limite del nonsense eppure sono dei capolavori.

Che romanzo è “La felicità dei cani”?
Un romanzo poliziesco, corale, che spero sia ricco di atmosfera e spunti di riflessione. È un libro a tratti cupo, piuttosto violento, stemperato da momenti di dolcezza e, perché no, anche da un pochino di poesia. Ma ogni scarafone è bello a mamma sua… che romanzo è dovrebbero dirlo i lettori, è piuttosto ovvio che a me piaccia…

“Nessun uomo ha mai ritratto così realisticamente una poliziotta” ha scritto una lettrice del romanzo su Anobii. Che ne pensi?

Che la lettrice andrebbe sposata per il complimento! Non so se è vero ma mi fa piacere che qualcuno lo pensi. Almeno non è la solita poliziotta un po’ santa e un po’ puttana (incorruttibile ma sensuale, non dimentichiamoci che alcune case editrici pretendono scene di sesso ogni tot pagine): è una dura, è corrotta, anche se per necessità (la cosa mi da un po’ fastidio, potrei lavorarci sopra in futuro..), non è granché simpatica. Ovviamente è bella, da questo si capisce che è nata dalla penna di un uomo…

Nelson Algren. Convinci i lettori a scoprirlo o riscoprirlo.

Dovrebbe stare nell’olimpo, assieme a Hemingway, Steinbeck, Faulkner, Dos Passos e Chandler. Invece se lo sono dimenticato tutti. Ha scritto poco, in Italia si fatica a trovarlo, le traduzioni sono giurassiche. Ma i pochi che avranno il coraggio di cercarlo e leggerlo scopriranno il più grande bardo della metropoli americana: nei suoi libri e racconti ci sono una ferocia e una poesia che colpiscono dritto alle viscere.

Che stai facendo?

Rispondo alle tue domande. E poi mi mangio frittelle di zucca.

Per sapere di più su Sergio Paoli: 

BIO VERSIONE LUNGA Sergio Paoli sono io. Spesso mi chiamano con il mio cognome al singolare e mi girano le palle. Non lavoro nell'ambiente editoriale e giornalistico nè ci ho mai lavorato. Non ho mai fatto "tante cose" o "tanti mestieri", roba tipo lo scaricatore di frutta al mercato comunale, il camionista o lo spazzacamino. Neanche il cronista di nera. Sono stato fortunato, ho fatto il liceo e l'università. Non ho mai vissuto all'estero, non ho fatto anni sabbatici, nè ho mai mollato tutto per ricominciare. Ho messo su famiglia, ho tre figlie femmine e una casa con il giardino. E una monovolume di cui vado molto fiero, perchè non è aziendale e me la sono pagata io. Come mi sono pagato il mutuo per la casa. Non ho mai fatto neanche il direttore artistico di qualcosa, nè sono mai stato in una radio e in una TV a lavorare o simili. Anzi non ho mai fatto niente di artistico, a meno che non consideriate artistico suonare gli accordi de "La locomotiva" di Guccini durante le gite liceali (erano gli anni '70, mi sembra comprensibile). Taglio spesso l'erba in giardino, sennò è un casino e poi mia moglie s'incazza. Non sono un umorista, un attore, uno sceneggiatore, un regista o un fotografo, un musicista. Sono proprio negato per ogni cosa che abbia a che fare con l'espressione artistica. Non ballo la salsa, il valzer nè il tango o la salsapariglia (che poi non è un ballo). Non ammiro Bukowski però bevo. Acqua, nel 99% dei casi. Così sono quasi sempre in bagno a fare pipì, che se può essere uno svantaggio è anche un gran bel pregio se ti trovi con uno scocciatore che non ti molla perchè puoi sempre dirgli "scusi, devo andare in bagno" e lo molli tu. Mi piacerebbe essere Bruce Springsteen e saper stare su un palco con una chitarra in mano, e avere cose intelligenti da cantare. Invidio gli scrittori che hanno sempre la citazione pronta e le parole giuste. Io per trovare una parola ci metto un mese, anche perché spesso non trovo il dizionario. Non ho fatto il magistrato, il poliziotto o l'investigatore privato e di notte me ne sto a casa mia. A fare cosa sono cazzi miei. Non ho cani, gatti o criceti o altro e non li voglio: vabbè che sono carucci e simpatici e non bisogna abbandonarli mai però la loro cacca ve la pulite voi che a me schifo. Adoro le crostate e quando incontro qualcuno pieno di sé, me ne fotto. Mi occupo di solidarietà ma questi sono cavolacci miei. Scrivo storie. Se poi qualcuno le definisce in qualche modo, sono cazzi suoi. VERSIONE BREVE Sono nato nel '64 a Viareggio e vivo in Provincia di Lecco. Mi sono laureato in Economia alla Bocconi nel 1987. Oggi sono quadro aziendale e sindacalista della CGIL. Ho pubblicato: "Rumori di fondo" (2007, MEF), racconti. "Ladro di sogni" (Frilli, 2009) "Monza delle delizie" (Frilli, 2010), due romanzi con il vicecommissario Federico Marini. Non è colpa mia se li hanno definiti noir. E non rompetemi i coglioni che il "noir è morto" perchè chissenefrega. Di LADRO DI SOGNI Gian Paolo Serino mi ha scritto: "complimenti: mi hai tenuto attaccato alle pagine, anche fuor di metafora...il libro vale molto". Io ho visto i miei diritti d'autore (zero euri) e ho pensato che non c'aveva preso proprio. Un terzo romanzo della serie è atteso per il 2011. Non si sa da chi perchè non c'è un editore che se lo caghi. Adesso però ho una bio molto figa. Vari racconti sono disponibili in Rete, a questo indirizzo:
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