Stacchi brevi, descrizioni asciutte, spazi confinati. Un testo dalla voluttuosa fisicità, materico, tattile come scorrere le dita su un rilievo. Quando l’uso della lingua consegna la forma compiuta all’idea immaginata. Ricorda l’abbraccio stilistico con cui ti circuisce Thierry Jonquet, neo-polar francese.
E’ un’illusione perfettamente riuscita entrare nella storia, una spinta alle ante di un bar, con il suo rumore di fondo, i suoi ospiti mangianti, un posto al chiuso di una città portuale, dialoghi tra funzionari, sullo sgabello Jelena Della Rebbia, poliziotta. Chioma rossa su pelle d’opale, precipitata fuori da una dura parentesi familiare, con un piede nella fossa morale della corruzione, è il biglietto di presentazione della squadra. Il resto sta al XX distretto S.Martino. Tre ispettori, il meglio di un’umanità poco sopra la media: Scarpa, parole scarse in un corpo taurino, Sciaccaluga, un oversize gastritico due cani per amico, Lorenzi, pulizia ordine e famiglia. Mai come in questo caso di protagonisti si parla, non di comprimari. Ogni personaggio è costruito con malta della migliore qualità, destinato a durare. In un auspicabile sequel c’è materia per più di uno spin-off.
Desolazione urbana, fa rima con quella degli uomini. Al piccolo cimitero monumentale, nelle tre cappelle dalla cupola grigia, Alberti/Gironi/Fronda, l’interno violato, sacchi verdi come baccelli, gas che sibilano mentre si aprono e dentro corpi senza vita di giovani ragazze, il collo segnato da una cerniera di punti, un taglio profondo rattoppato da una mano nervosa. Orlandi, il neo commissario, non ha ancora sfatto la valigia ed ha già un caso disgraziato per le mani. Tocca a questo antieroe, spiegazzato come un famoso gabardin, prendere coraggio a quattro mani. Per il colpevole non bisogna andare molto lontano, ma il primo inseguimento finisce in tragedia, per la squadra è un colpo mortale. Nell’appartamento dell’assassino, alla ricerca del movente, un paio di chiavi. E’ la prima volta che al commissario capita la pista buona. Per aprire la porta che è amica di quella chiave si scendono sette piani sotto il livello stradale. Nel box c’è l’album delle ragazze uccise, il passaporto della quarta donna e la faccia strappata del secondo uomo. Pur nella diffidenza che ispira sempre il nuovo venuto la nuova fermezza e solidità che inaspettatamente rivela man mano prosegue l’indagine forniscono impulso e compattezza alla squadra che tra una sparatoria e un inseguimento riuscirà a riprendere i fili di una storia squallida, di corruzione e degrado, dove non c’è salvezza per nessuno. La corona cittadina è fatta di vicoli stretti e oscuri, nei quali passano a malapena le auto, un dedalo inconoscibile dove nascondersi è un attimo e la pianificazione di omicidi in serie è la cosa più facile di questo mondo. Un mondo senza nome che accentua lo spaesamento di chi cerca inutilmente una motivazione in questa bruttura degli animi che ne costella le strade.
Dagradi. Il giornalismo è una scuola di scrittura, c’è chi con la cronaca nera si è costruito un riserva di storie da raccontare, e mescolando il reale con l’invenzione, ha finito per vivere di questo mestiere. Si impara a scrivere perché si è costretti alla sintesi, all’espressione celere, l’articolo deve presentare un fatto, penetrare nell’interesse del lettore e lasciare un segno. Ecco, qui la scuola del giornalismo si vede e si sente, ritmo, frequenza, riproduzione, c’è tutto. E la passione del cinema, che si riversa come un fiume in piena nelle pagine del libro. Come nella scena alla stazione, ritratta in modo magistrale. Con il controcanto della feroce lotta tra cani addestrati a cercare il sangue il pedinamento e il precipitare degli eventi descritto grazie al ralenti cinematico di un movie americano lo scrittore supera sé stesso. Se vi piacciono le scommesse, questo è l’autore giusto per farne una bella grossa.
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