mercoledì 28 ottobre 2009

In Discesa

Questo è di una decina di anni fa, forse di più...lo scrissi dopo aver visto e rivisto "Se7en" e "L'ultima Profezia", cercando di mescolare thriller, horror, azione hong konghese e soprannaturale. Sono tutt'oggi combattuto sulla qualità del risultato, ma credo ci sia del buono. Qualcosa è finito pure nella "Felicità dei cani", senza che me ne accorgessi. Rileggendolo sembra che io abbia inventato una proto-Lisbeth Salander, che cosa buffa....

In Discesa



Sequenza iniziale

Occhi appannati dalla stanchezza scrutano il vicolo.
Tra la spazzatura rugginosa un gatto tigrato sta morendo. Ha le ossa frantumate e il sangue, che esce dal naso e dalla bocca, scola in un tombino.
L’animale muove la testa, vede appannarsi le scarpe lucide dell’uomo in piedi davanti a lui.
Gli occhi arrossati lo notano, dilatandosi.
Dietro alle iridi screziate di grigio c’è un vuoto assordante.
Le scarpe scompaiono, lasciando tracce rosse. Il felino resta solo e percepisce ansando il frusciare sommesso dei ratti. Coppie di piccole torce affamate incendiano il vicolo.
Al di là della strada la figura con gli occhiali cammina piano verso le luci violente di una discoteca. Persone vestite di plastiche lucide e colorate si animano, scosse da brividi di isteria.
Lo sguardo si ferma.
Estrae un pacchetto di sigarette. Ne porta una alla bocca. L’accende. Assapora il piacere strisciare nei polmoni.
Il suo cuore batte lento, ritmando il pulsare delle vene. Un verme violaceo gli si agita sulla tempia.
Nessuno lo guarda. Chi incontra i suoi occhi distoglie lo sguardo.
Scale appaiono e scompaiono nella convulsione assordante delle stroboscopiche.
La musica è poco più di un’orgia di oggetti di ferro accoppiati senza ritmo. C’è puzza di sudore, alcool, eccitazione sessuale.
Una corona di schermi proietta la crocifissione di un Cristo negro che muove piano la testa invocando il cielo.
Attraverso le lenti guarda la propria mano essere e non essere tra i lampi azzurri.
I suoi pensieri acquistano un’andatura intermittente.
Sente braccia, gambe, seni e natiche inguainate strisciare sul suo corpo.
Un ragazzo con capelli luciferini lo nota da dietro il bar. La luce sotto il bancone gli illumina dal basso la faccia stravolta, proiettando due macchie nere sotto le orbite.
Indica con un cenno di testa il bagno degli uomini.

C’è febbre nella mente

Lucebuiolucebuiolucebuiolucebuio Non buio riesco buio a pensare buio nel buio bagno buio è buio nel buio bagno buio mi fa buio paura buia questo buio muro buio di carne fradicia

Febbre. Nella mente.

La porta del bagno si spalanca. Dentro è come fuori. File di cessi in fila. File di pisciatoi appesi lividi ai muri. Sgocciolare immaginato e acqua sporca sul pavimento. I cessi sono tutti aperti tranne uno. Una ragazza ubriaca ha sconfinato e guarda ipnotizzata la sua immagine distrutta da uno specchio in frantumi.
Gli oblò di vetro nella porta inquadrano il Cristo spalancare gli occhi e urlare senza voce, con grandi denti bianchi grondanti il sangue delle percosse romane.
La ragazza è troppo magra e troppo pallida per sopportare la ferita del rossetto che le taglia le labbra. Si avvicina all’uomo con un passo incerto e voglioso. Ha la pelle tirata sottile sugli zigomi.
Fa finta di cadere e si fa sorreggere solo per baciarlo all’improvviso affondando la lingua nervosa nella sua bocca. L’uomo la vede apparire e sparire, gli occhi due stagni immobili, enormi e vicinissimi, l’umido piacere del toccarsi delle lingue. Getta la sigaretta e le tocca un capezzolo, mettendo l’altra mano in tasca.
Lei si stacca. E ride. Sembra pazza. Stringe i pugni torcendosi. 
Dice: “Lo sai che ho investito un gatto?”
Di scatto la porta del cubicolo si apre, sputando la massa ingombrante di un ciccione dall’aria suina. Ha i capelli appiccicati alla testa e apre la bocca quando vede l’uomo, ma l’uomo ruota su se stesso vibrando come un’ombra ed è proprio lì che la pallottola colpisce: in bocca, scaraventandolo a sedere sul Water in una nuvola di sangue vaporizzato. L’anima del ciccione urla mentre viene strappata nuda dalla sua cuccia pineale. Scivola infuocata nello scarico.
Il cadavere libera i fluidi nel posto giusto ma le braghe sono ben allacciate.
La ragazza è in ginocchio.
I nervi muovono piano la testa del morto.
Il gatto ancora vivo guarda i ratti baffuti banchettare con le sue interiora.
Una seconda detonazione tinge la tela cubista dello specchio rotto, dove il viso della donna è rimasto intrappolato nel terrore.
L’uomo resta in piedi, in posa perfetta, con il braccio armato teso, come una statua.
C’è fumo nell’aria.
Fumo dalla bocca della pistola, da quella del maiale e dalla fronte della sconosciuta.
La sua ombra è nera come gli occhi di un cane. Ma dietro ai suoi non c’è traccia di un‘anima.


Rivelazione 13:18

“E’ di nuovo lui, padre.”
L’ispettore lascia cadere due fotografie sul tavolo.
La sagoma adiposa di uno sconosciuto seduto su un gabinetto, con un tovagliolo di sangue che dalla bocca gli scende fino all’ombelico.
Una ragazza riversa sul pavimento con un forellino livido sulla fronte e parte del cervello incrostato nei capelli.
L’ambiente è scuro e umido come una cripta. Montagne di libri e quaderni formano un labirinto Escheriano intorno alla scrivania del sacerdote.
“Cosa le fa pensare che sia un seriale?”. La voce di padre Martini esce dalla gola rugosa come dalle canne di un organo arrugginito. Lo sguardo trasuda una sicurezza imperativa, ma i piccoli gesti rituali, che compie per fare ogni cosa, lo fanno immaginare diverso, fuori dal suo ambiente naturale.
L’ispettore respira con un filo di nausea il prepotente aroma d’incenso.
“E’ un professionista, padre, un assassino prezzolato, ma usa sempre la stessa arma. Questo non ha senso. È troppo attento per commettere un simile errore.”
“Crede ancora alla favola che tutti i seriali desiderano essere catturati ?”. Il vecchio porta la tunica come un’armatura. Fuma una sigaretta senza filtro espirando raramente. La stritola tra le dita nodose, martoriate dall’artrite, all’altezza del taglio che ha fatto nei guanti a tutte le dita.
“I peccati non si scontano sulla terra, ispettore.”
Cuomo è un uomo di aspetto mediocre, solitamente abbastanza deciso, ma gli occhi dei 77 crocefissi appesi a caso nella stanza lo fanno sentire in colpa.
“Ci aiuti.”
Martini alza gli occhi dalle fotografie. E guarda a lungo l’ombra di un angelo, formata dalla babele di stracci e vecchie Bibbie, dietro al giovane. Il suo sguardo si vela di una rassegnata malinconia.
“Lei crede in Dio?”.
Cuomo arrossisce. Ha la sensazione di essere tornato bambino e di guardare di nascosto i cavalli accoppiarsi a casa di suo zio.
“No eh? Ma mi dica, se Dio non esistesse, chi potrebbe mai essere così potente da creare un simile orrore?”.
Una falena brucia piano con le ali incollate ad una lampadina. C’è solo la puzza di carne bruciata a scandire il tempo nel silenzio.
Padre Martini non ama gli orologi.
“Credevo che Dio fosse buono.”
“Millenni di storia ci hanno insegnato che se si vuol regnare non si può essere indulgenti.”
Cuomo appare a disagio, come se volesse ribattere ma non ne avesse il coraggio, guarda nervosamente la porta e strofina le scarpe sul pavimento.
“Possiamo contare su di lei?”.
“Aspetti una mia telefonata.”
“Quando padre?”.
“Prima del Giudizio, Cuomo, adesso vada.”
“Arrivederci padre.”
La porta si chiude frusciando e il silenzio cade come polvere su ricordi di catechismo. Battista Martini socchiude gli occhi, nascondendoli sotto palpebre pesanti. Vede ragni bianchi e puri tessere le tele dei suoi pensieri.
Una candela si accende silenziosa dietro di lui. L’ombra dell’angelo si allunga assumendo un profilo di fiera affamata.

Ti darò un’anima Demone e poi la strapperò e la getterò all’inferno.

La porta si apre, spegnendo la candela con un soffio di aria bollente.

Perdonami Signore perché ho molto peccato. Aiutami a riconoscere i miei errori e il male che portano agli altri. Mostrami la strada del perdono che Gesù ci ha donato con il Suo sacrificio sulla croce.

“Padre Baptiste?”
“Entra Benedicta.”
L’ombra della giovane mulatta si staglia sul pavimento di legno scuro, perfetta e immobile.
Il vecchio alza gli occhi, ora miti come quelli dell’Agnello.
“Hai il viso di un angelo e parli come una santa, bambina mia.”
Benedicta si slaccia maliziosamente un paio di bottoni del vestito a fiori. La curva di un seno piccolo e appuntito fa capolino dalla penombra.
La voce di Martini è strappata dalla gola con pena.
“Hai qualche peccato da confessarmi?”.


La solitudine della preda

Bagno della discoteca.
Sera del giorno dopo.
L’ispettore è in piedi immobile, nello stesso punto in cui il sicario ha terminato il suo letale spettacolo. Luci fredde illuminano le piastrelle da obitorio, mandando strani riflessi sulle macchie di sangue.

Come se ci fosse qualcosa intrappolato dentro che vuole tornare in superficie.

Cuomo, nonostante i guanti di paraffina, ha paura di toccare la strana resina coagulata. Ha paura che la sua mano affondi, che sia ancora liquido e non abbia fondo e che ci sia qualcosa dentro.
Un pesce esangue o forse il diavolo.
Distoglie lo sguardo e allontana i piedi.
L’assassino non ha lasciato niente. Solo i due bossoli della sua automatica calibro nove.
Il grassone era comproprietario della baracca. Senza figli; con una madre cieca lasciata a cucire cose senza senso chissà dove. Adesso il ragazzetto con i capelli rossi possiede tutto. Sono tutti sicuri che sia stato lui.

E’ stato lui.

Ma al momento della sparatoria se ne stava davanti a cinquecento persone a servire drink superalcolici.
Controllare le sue telefonate delle ultime settimane. Gli amici ricchi o equivoci. Le morose e le puttane che si caricava.

Se non è un idiota non lo incastreremo mai.

Nessuno l’ha visto entrare nel bagno.
Nessuno l’ha visto uscire.

Quel maledetto fantasma.

La ragazza non c’entrava niente, sicuramente una testimone casuale. Cuomo si specchia sopra lo stesso lavandino incrostato di rosso nel quale si era lavata le mani prima di essere uccisa. Il suo volto semplice e squadrato diventa mille piccoli cuomi con mille espressioni diverse. Ciascuno vorrebbe dire la sua.
Quando l’ispettore si gira, un’ombra si agita nel vetro lanciando un urlo sottile come il fischio di una tubatura.
I suoi passi riecheggiano nella discoteca, lasciata alla danza di ombre paralizzate nei gesti del silenzio.
Fuori la città brulica di luci e rumori, grande bazar orientale sotto la pioggia tenue.
Il traffico si snoda lento. La testa dell’ispettore è piena di cadaveri in posa, lividi e perfetti sotto le luci di una coreografia infernale. Pensieri senza direzione si urtano, cercando una strada per essere espressi a parole. Ma sono pensieri febbrili e restano incrostati in gola, attaccati ai denti, fastidiosi e senza forma.

Ho la testa piena di morti.

Ad ogni semaforo Cuomo rifiuta, con un cenno del capo, le offerte dei lavavetri.
L’ispettore mangia in un bar, guardando un ragazzo con una cresta verde baciare interminabilmente una minorenne coperta di tatuaggi. Le due bocche sembrano saldate insieme. Gemelli siamesi.
I due lasciano raffreddare i caffè.

Non respirano.

Quando paga, la cameriera gli sorride. Ogni tanto lo vede passare e mangiare, a volte si ferma a leggere la gazzetta. (un giorno o l’altro gli rivolgo parola all’ispettore, magari gli fa piacere di fare quattro chiacchiere)

E’ carina la Lisa. Domani le chiedo a che ora smonta. Ha un buon profumo e le tette più sode che abbia mai (intra)visto.

L’ascensore si apre al sessantesimo piano. Cuomo apre la porta sbadigliando.............



La solitudine del predatore


..............la porta si richiude alle spalle. I colori stinti dell’appartamento corrono a riflettersi sulle lenti degli occhiali.
La casa è quasi vuota.
 Non ci sono libri, solo una parete ricoperta di videocassette, sulle quali volano strane farfalle colorate, proiettate dai neon giù in strada.
La pistola, nera e lucida come una scarpa di vernice, scivola in un cassetto.
Al terzo piano il brontolare dei motori è assordante.
La tv si accende con un rumore secco. Un pixel azzurro compare nel mezzo dello schermo e subito lo allaga, formando l’immagine di un giornalista:

Terroristi appartenenti alle frange ultracattoliche hanno rivendicato nella mattinata l’attentato di ieri al diretto Bologna - Firenze. Ricordiamo che nel deragliamento non ci sono state vittime. La falange, che propone l’abolizione di aborti e divorzi, ha dichiarato che gli attentati si fermeranno solo quando lo stato voterà leggi che moralizzino i costumi del paese….

La scelta di una videocassetta è lunga.
Sono tutte catalogate in ordine alfabetico e hanno delle crocette che segnano quante volte sono stati visti.
Il secondo tragico Fantozzi: 23 crocette.

Può andare.

A metà dei titoli di testa suona il telefono.
“Sì?”
Raro sentire la sua voce. È melodiosa, educata, un tono basso da professore di filosofia.
“I soldi sono sul tuo conto. Ma il ragazzo non ha le palle. Se succede qualcosa arriveranno prima a me. Sono pulito, tu  lavorati la puttana, poi è meglio se ti togli di torno per un po’.”
I muscoli del viso gli si contraggono fino a far scoppiare un paio di capillari.
“Sicuro?”
“E’ solo un consiglio.”
Mette giù.
Il film è già cominciato.
Al piano di sopra lo spettacolo serale apre i battenti. Si sente cigolare, ansimare, urlare di piacere. Continuerà per un paio d’ore.

 Io lo so cos’è quella macchia sul soffitto. (Ride tra sé nervosamente.)

Ma c’è il film.
E lui comincia a ridere. Prima sommessamente. Poi sempre più forte. Con una voce da bambino di cinque anni.  Fino a che la risata non diventa un unico stridulo urlo di divertimento senza fine, bagnato di lacrime, senza mai prendere il respiro.

Fuori, in strada, la gente passa e guarda in alto. Due gatti si stanno azzuffando nell’appartamento al terzo piano.


Andrea


Il sole sorge indisturbato, mentre padre Martini, accompagnato dal suo sottile bastone di metallo, entra nel seminterrato; una figura curva e veloce che cammina nell’ombra.
Settantadue anni e ne dimostra ottanta, ma ha la forza e la lucidità di un trentenne.
Cammina con il becco romano proteso ad annusare l’aria e gli occhietti neri che scivolano inquisitori su tutto ciò che incontra. Sulla testa ha calato un cappello impermeabile a tesa e porta un paio di consunti guanti di lana, con le dita tagliate. Ci sono molte leggende, nella curia, su quei guanti.
C’è un gran disordine. Un disordine vero.

Niente a che vedere col mio.

È un bilocale buio pieni di cuscini e CD sparsi sul pavimento.
In un lettino con le sbarre una bambina di due anni dorme tranquilla, cullata dal volare statico di sonagli a forma di pappagallo.
Martini le posa un dito legnoso sulla fronte e traccia piano una croce immaginaria:
“Il Signore ti benedica
e protegga;
il Signore ti mostri il suo viso lucente
e sia buono con te;
il Signore ti guardi
e ti dia la pace.”
“Così daranno il Mio Nome agli israeliti e io li benedirò”. Risponde una voce femminile dalla porta del bagno.
Una bella ragazza di poco più di vent’anni è in piedi, appoggiata allo stipite. Indossa solo un paio di slip neri e una maglietta bisunta, anch’essa nera, che le arriva appena sotto le costole. Ha la pelle molto chiara e i capelli corti di un rosso scuro, sporco e spettinato. Una teoria di anellini d’acciaio brunito le costella il viso; uno è appeso indolente all’ombelico e due, più maliziosi, appuntiscono l’impronta dei capezzoli sotto la maglietta. 
“Stai lontano da mia figlia.”
“Tua figlia? Che cosa temi, Andrea?”
“Lo sai.”
“Sai che cosa sembri? Una giovane leonessa protesa e ringhiante mentre protegge il suo cucciolo. Dovresti sapere che i leoni sono molto affettuosi con i figli. Non come altri animali. Una volta vidi un coniglio rosicchiare il cranio a tutta la nidiata. Non si direbbe che una creaturina tanto morbida e ottusa sia capace di un gesto simile. Ma se ne stava li a guardarmi con un’aria colpevole e il musetto peloso insozzato del sangue dei suoi piccini, mentre la madre, terrorizzata, tremava rincantucciata in un angolo.”
“E tu non hai fatto niente, vero?”
“Non bisogna interferire con le vie della natura.”
“Già, immaginavo che l’avresti detto. Che cazzo vuoi?”
“Non parlare sporco. E dimmi, come sta la bambina? L’affitto è arrivato? Te l’ho spedito due giorni fa. Non avrai ripreso a drogarti vero? Hai gli occhi lucidi e ti trema la mano destra.”
“Sono solo stanca.”
“Benedicta ti manda questo cappellino di lana.” Un minuscolo copricapo rosa esce dalla mano del prete, sembra la lingua di un vitello.
“E’ una brava casalinga, la tua nuova concubina.” Andrea ha il tono sbrigativo di chi si aspetta qualcosa e non vuole preamboli. Il dolore e le traversie hanno partorito una malinconia rabbiosa che le impasta gli occhi, diluendosi solo quando lo sguardo scivola sulla piccola. I muscoli, sottili come filo di ferro, tremano di tensione quando cerca di restare immobile.
“E’ una ragazza piena di risorse, se non fosse per me starebbe in mezzo ad una strada a prostituirsi.”
“In vece così batte solo per te. Eh?”
“Non capisco perché ti impegni tanto nel cercare di ferirmi.”
“Basta così, sputa il favore.”
“Il duplice omicidio dell’altro ieri sera, alla discoteca. Raccogli un po’ di notizie. Per piacere.”
“Sei a caccia di demoni?”
“Del peggiore.”

Il vecchio puttaniere si farà sventrare e ci finirò io, in mezzo ad una strada, con la sua fottuta Benedicta.

Andrea è sola nel locale e fa volare, con mano leggera, i pappagalli di plastica. Hanno un’aria allegra, mentre guardano gli occhi chiusi della piccola. Andrea si passa una mano tra i capelli. Sembra sospesa tra sonno e veglia, chiusa in una silenziosa prigione di sogni.
Sbattono le ali, i pappagalli, ma degli invisibili fili di nylon gli impediscono di andarsene.




Omicidio atto secondo

La macchina rubata ha problemi di frizione.
Da dietro gli occhiali le strade suonano umide e azzurre.
La pioggia è caduta tutto il pomeriggio e ha lasciato uno strano odore di ozono nell’aria.
Tiene la fotografia di una puttana in mano. La foto, scattata da lontano, le ha rubato un’espressione annoiata da bambina in fila. Ha i capelli ricci e biondi, un gran culone e le gambe secche.
Ragazze in fila sul marciapiede.
La macchina passa piano e i lampioni, giocando coi vetri, non lasciano vedere dentro.
Le negre stanno vicine, litigano, ridono, improvvisano spogliarelli a beneficio dei clienti, ma sempre in gruppo.
Le bianche, che siano dell’est o italiane, sembrano avere un’indole più solitaria.

Più malinconiche.

La volante procede circospetta. Vettori guida, ha ventiquattro anni e viene da lontano. Si lamenta sempre che la città è troppo diversa dalla sua.
“Questa fogna non ha punti di riferimento, è troppo piatta, fa schifo.”
“Taci, Vettori, e guida.” Laura Molise fa la poliziotta, ma la divisa non le dona.
“Cosa stiamo cercando, esattamente?”
“Clienti da spaventare.”
“Interessante e vorresti spiegarmi a che cosa serve?”
“A spostare le puttane verso corso Italia, dove le controlliamo meglio e dove ci sono meno case.”
“Che cosa idiota.”

La portiera si apre. La ragazza sale, ha un profumo nauseabondo e i preservativi già in mano.
Gli occhi non la incontrano. Lui tace.
“Vediamo di fare presto.”

Povera stronza. Facciamo presto vedrai.

La radio sta bisbigliando una canzone da discoteca degli anni ottanta, quando la macchina si ferma in una stradina buia, coperta da un alto muro sulla destra. È un vicolo cieco.
“Vai dietro.”
Lei smonta e sale sul sedile posteriore. Si mette comoda, senza mutande, con le gambe spalancate.
Gli occhiali sono appannati dall’eccitazione.
Scavalca i sedili e le si siede a fianco.

“Ci fermiamo a prendere un caffè?” Vettori ha l’aria mendicante di un cane affamato.
“E’ presto, più tardi, forse.” Non è antipatica, ma si impegna molto per sembrarlo.
“Insomma, Molise, per Dio, mollati fuori. Cerco solo di fare quattro chiacchiere.”
“E io di farti capire che non ho voglia di parlare.”
“Ok, ho capito, come non detto.”

Il pugno parte improvviso, sfondandole il setto nasale. La cartilagine si accartoccia, sfigurandola con un rumore di lattina schiacciata sotto i piedi. Un fiume di sangue caldo le inonda i seni mentre il mondo si appanna.
Quando riprende i sensi ha entrambe le mani ammanettate alla maniglia sopra il finestrino.
Il viso è premuto forte contro il vetro.
Lui è immobile e la guarda. Indugia per minuti, senza pudore, su ogni curva della carne scoperta.

E’ tanto tempo.

Il vestito viene strappato lasciandola solo con le scarpe.
Lei lo sente calarsi i pantaloni e infilarsi con calma il preservativo.

Con i tempi che corrono.

Le passa un oggetto di metallo freddo sulla schiena, fino alle natiche e poi giù a toccarle le labbra.
Poi la penetra con una violenza tale da toglierle il fiato.
Quando il ritmo si fa frenetico le appoggia la canna della pistola sulla nuca.
Viene sparando, spruzzandole la faccia sul finestrino con un gemito di piacere doloroso.

“Guarda quella macchina.”
Il vicolo è lontano e silenzioso, c’è solo un po’ di fumo che brilla nell’aria, disegnando ali nere che sbattono insensate.
“Accosta che li facciamo andare via.”
“Già magari diamo un’occhiata a qualche documento.”
Gli occhi di Vettori si stringono.
“Per Dio, cos’è successo al finestrino?”
Ferma la macchina e scende. Qualcosa che non aveva mai provato gli ha spinto in mano la pistola.
Cerca di urlare quando vede il bizzarro ritratto tracciato dalla detonazione sul finestrino. Ma l’ombra gli sbuca davanti come un macabro gioco di prestigio. C’è una fiammata e il cuneo di piombo gli attraversa il collo. La pistola gli salta dalle mani e viene raccolta, con precisione da giocoliere, dalla sinistra libera dell’uomo. Vettori fa tre passi indietro, gorgogliando con una mano premuta sulla giugulare. Una fontana intermittente gli zampilla allegra tra le dita. Sente una stretta allo stomaco e le gambe rigide. È come se il fango gli avesse allagato il cervello. Nel suo viso deformato c’è l’incredulità infantile di chi ha preso un ceffone per qualcosa che non ha fatto. Non pensa. L’esperienza della fine violenta, come l’orgasmo, è troppo fisica, per pensare.
Quando cade a terra, malgrado qualche input tardivo, è già morto. Resta lungo disteso, con l’arteria che traccia murales espressionisti sulla portiera della volante.
Molise sta cercando di fare molte cose contemporaneamente. Estrarre la pistola incastrata nella fondina, chiamare la centrale, aprire la porta, piangere e urlare. È ancora indecisa quando le due automatiche svuotano i caricatori sulla macchina. Intorno a lei va tutto in frantumi, i vetri, il cruscotto, il volante. Si sente un grande rumore da occhio del ciclone con lampi che esplodono e vibrano nell’aria. L’atmosfera è piena di frammenti sospesi. Poi arrivano le pallottole, veloci e pesanti, le schizzano attraverso il corpo urlando e strappando.
Nella mano, nella gamba, nei polmoni, in pancia, in faccia.

C’è silenzio ora.
Molise ha i piedi incastrati sotto i pedali e il corpo torto all’infuori, con la faccia appoggiata sulla strada fresca.
Riesce a pensare solo ai tunnel grondanti che la attraversano e che tutto non sarà più lo stesso.
Senti i passi della morte che se ne vanno.
Striscia piano fuori dalla macchina.
La volante prende fuoco all’improvviso come se il diavolo l’avesse guardata.
Ombre ballerine si allungano tutt’intorno.
Sirene cantano lontane.
La loro melodia solca dolcemente le onde d’asfalto della notte.

Per l’amor di Dio, venite a prendermi.



Diavoli nella notte

Padre Martini è inginocchiato.
Lo scranno di legno che lo sorregge porta il peso di molti secoli.
La chiesa è illuminata da un volo di candele appollaiate sotto santi benedicenti. I visi sereni dei padri della chiesa guardano il cielo con gote fiammeggianti di gioia e pudore.
Il vecchio prete prega con intensità mantrica, ripetendo e ripetendo l’Ave Maria.
Un grande crocefisso lo sormonta, schiacciandolo nella penombra del rimorso. Gesù ha un’aria feroce. Sembra che cerchi qualcuno con gli occhi, tra la folla, a cui neanche lui possa perdonare i peccati, prima di esalare l’ultimo respiro. Qualcuno che possa non essere salvato.
Gli occhi dei crocefissi guardano sempre Martini. O così crede.
Nella folla cercano sempre e solo lui. Ha settantasette crocefissi in studio e, dovunque sia, tutti lo guardano.

Gesù non è morto per me. Sono maledetto.
Vi porterò la sua testa.
E loro rideranno e berranno il suo sangue.

Cuomo è il protagonista, sul palcoscenico lampeggiante del vicolo. C’è un gran via vai di agenti e tecnici. Tutti lo guardano. Ma Cuomo non sa cosa dire.

Li ha uccisi, e allora? Che cosa volete, che lo catturi? Pensateci voi a catturarlo. E poi non saprei come farlo. Voi lo sapete? No eh? Nessuno qua ha voglia di farsi ammazzare. Hanno tutti paura. Perché non è un uomo, è un fantasma, uno spirito.

Il sangue si è diluito nella patina oleosa della strada. La gente guarda ammutolita Vettori fissare la luna. Una mosca annega ronzando nello stagno nero all’interno della sua bocca spalancata.
La luna passa lenta nelle iridi azzurre di Vettori. Lui vede solo una faccia bianca, che lo guarda senza occhi, da una profondità di un blu insondabile. Sembra la sua e muove la bocca, ma non sente cosa dice.

Hanno paura di me. È naturale, hanno paura di tutto ciò che può ucciderli. Ma non sanno che tutto può farlo.

Gli occhiali si fissano sulla sagoma stropicciata di Cuomo. Pensieri tesi nello sforzo di obbligare il suo corpo a non ritrarsi dalla morsa disgustosa della folla di curiosi.

Montagne di carne. Il mondo è già finito.

Andrea ha gli occhi chiusi. È rannicchiata sul letto e dorme, mentre la piccola fa volare i pappagalli con le sue dita innocenti. Il sonno di Andrea è caldo e sotterraneo, ancora percorso dalle vene d’oro della masturbazione. Sogna grandi caverne lucenti di cristalli, piene di vita e di mondi dentro mondi dentro mondi dentro mondi dentro mondi dentro mondi ...............



Gli emissari


Gli occhi dei crocefissi si spostano sul telefono che squilla.
La mano guantata di padre Martini si protende dal letto e afferra la cornetta.
“Chiesa di S. Sebastiano, desidera?”
“Andrea.” Il tono è sbrigativo e seccato, come al solito.
“Dimmi cara.”
“C’è poco da dire, sono tutti sicuri che sia stato il socio, che abbia pagato qualcuno, ma non ci sono prove, il tipo si chiama Matteo Acquaviva, vive in Corso Garibaldi, al numero 55.”
“Sei un tesoro, Andrea, ma dimmi..............”
Il telefono dà il segnale che lei ha riattaccato.

E’ pomeriggio, sul tavolo ci sono quattro tazzine di caffè vuote, un portacenere soffocato dai mozziconi e uno stradario.
Corso Garibaldi è imprigionato in una prigione di pennarello rosso.
Padre Martini fissa un punto imprecisato della parete.
Sono due ore che è così.
Nel suo studio è buio come se fosse notte, da circa trent’anni.
Per un battere di ciglia, il vecchio prete si sente sollevato dallo sguardo implorante dei crocifissi.
La porta si apre piano.
Sul muro davanti a Battista, una a destra e una a sinistra del punto che osservava, si stagliano due ombre.
Due strane sagome androgine.
“Asaliah, Aniel, miei cari parrocchiani, arrivate sempre al momento giusto.” C’è una punta di rassegnazione nella sua voce.
La porta si richiude, ma la luce che era entrata resta dentro, scivolando tra gli scaffali.
I due individui indossano cappotti scuri, un po’ sdruciti, sono alti, magri, hanno i capelli corti, uno neri, l’altro rossi.
E’ impossibile capire se sono ragazzi dal viso molto delicato e dall’aria effeminata o se sono effettivamente due ragazze.
Più a lungo li si osserva, più si è invasi dalla sensazione di malessere provocata dalla loro straordinaria bellezza.
Sia come uomini che come donne.
Sono mossi da gesti silenziosi e precisi, i visi attraversati da un tramestio di emozioni che muovono sopracciglia sottili e labbra sensuali.
Gli occhi di Martini, guardano i capelli rossi di Aniel, il viso pallido e perfetto, le iridi di un azzurro sintetico, quasi fosforescente.

Signore, quanto sono belle le tue creature.
Le labbra. Morbide come sete di damasco. Così dolci.
Un invito al peccato.

Distoglie lo sguardo e cerca di nascondere imbarazzato i risultati dell’eccitazione.
Quando Asaliah parla, la luce clandestina viene risucchiata dagli angoli.
Si rivolge al religioso con un sorriso di scherno, guardandolo fisso sotto la tonaca, tra le gambe.
“Devi fare più in fretta, Battista, sei solo uno sterile maniaco sessuale e le tue quotazioni calano rapidamente.”
“Tra pochi giorni sarà tutto finito, ve lo posso assicurare.”
“Hai detto così anche l’ultima volta e quella prima e quella prima e quella prima e quella prima e.................”
“Ho capito, capito. Due giorni, solo due giorni.”
“Quarantotto ore, Battista, la pazienza non è eterna.”
Asaliah si muove verso l’esterno.
Aniel appoggia la silhouette affusolata sulle ginocchia del prete.
“Ascoltalo.”
Gli da un bacio molto vicino alla bocca. Il corpo ricurvo è scosso da brividi lunghi e profondi.
La testa rossa di Aniel esce e chiude la porta.
Quando entra Benedicta, Martini sta rilassando i muscoli sconvolti dall’orgasmo.
“Baptiste, ha acceso lei le candele in Chiesa?”
“No, Benedicta, ma non preoccuparti.”


Le vie della legge


Il naso aquilino guarda verso il quarantesimo piano.
Corso Garibaldi.
Qualche goccia di pioggia cade indolente verso le rughe, sotto la tesa del cappello.
La sera è gialla e azzurra, mossa dal passo affrettato di qualche sconosciuto.
Quando l’ascensore si ferma davanti l’appartamento i rumori della strada sono poco più di echi di un mondo subacqueo.
Acquaviva.
Il campanello suona una stupida marcetta alla moda.
Ci vuole un po’ prima che il barista apra la porta.
Ha la faccia di uno che ha appena avuto un dialogo con la Siringa, o con qualcuno dei suoi surrogati.
C’è un prete sulla porta, la faccia nascosta da un cappello nero e un bastone di ferro nella mano destra.

Gesù, è arrivata la morte in persona a prendermi.

Matteo si tocca di nascosto i genitali, la vista che va e che viene sotto l’effetto della droga.
“Che cosa vuole, padre?”
La sagoma del prete si allunga e diventa gigantesca e minacciosa.
“Farti qualche domanda, figliolo.”

Ora è dentro. Come fa ad essere dentro se prima era fuori?

“A proposito di cosa? Sono ateo padre e non ho soldi da dare ai poveri e la casa me l’hanno già benedetta.”
“Male, molto male.”
Le parole si frammentano in echi sottomarini e cozzano contro le pareti, riempiendo la stanza di bollicine.
La stanza è in puro stile hollywoodiano, semivuota, lasciata in una penombra azzurra da fredde alogene postmoderne, scomposte e deformi. Ci sono divani di pelle color cielo e il resto è quasi tutto trasparente o di vetro.
Specchi, sul soffitto.
“Devo chiederti qualcosa sull’omicidio.”
“Ma se ne vada a fare in culo, parlo solo con la polizia dell’omicidio, non vedo che cosa c’entri lei e perché dovrei risponderle, se ne vada, subito.”
“Mi risponderai, vedrai che lo farai.”
Gli oggetti e i mobili cambiano bruscamente colore, trasformandosi in camaleonti emotivi degli interlocutori.
Il divano è blu di paura, il tavolo brucia d’ira.
Padre Martini li guarda come se potesse vedere i riflessi chimici percepiti dal ragazzo.
“Esca di qui, SUBITO!”
La camicia di ferro del bastone scivola al suolo, snudando una lama a doppio taglio.
Matteo vede un serpente contorcersi sull’elsa.

Ho inseguito e raggiunto i miei nemici;
Non mi sono voltato finché non erano distrutti.
Li ho massacrati così che non potessero tornare;
Sono caduti ai miei piedi.

Si sente un sibilo.
L’orecchio destro del ragazzo vola attraverso la stanza e resta appiccicato alla parete.
Matteo cade in ginocchio. Spalanca la bocca ma non esce un suono.
Sente tutti rumori del suo cervello uscire dal buco, poi una ragnatela di sangue gli si tesse sul viso, deformandone l’espressione.

Mi hai armato con la forza della battaglia;
Hai fatto inginocchiare i miei avversari.
Li hai fatti fuggire
e io li ho distrutti.
Hanno implorato aiuto, ma non c’era nessuno a salvarli;
Dio non gli ha risposto.

“Ora sei disposto a parlare?”
Piagnucola. “Sì.”
“Bravo.”
La lama si appoggia sotto il mento e gli alza la testa.
Gli occhi si incontrano.
L’orecchio si stacca e cade a terra; da lontano sembra un granchio senza zampe.
“E se non fossi stato io?”
“Ma sei stato tu.”

Se n’è andato.
Anche l’effetto della droga è passato.
Resta solo il dolore.
Il mandante si asciuga le lacrime, tenendo un panno premuto sulla mutilazione.
Ha messo il suo orecchio nel freezer.

Quello non mi denuncia se no finisce in galera io non lo denuncio se no finisco in galera se fa fuori quelli che ho pagato me la cavo me la cavo me la cavo...........

Suona il campanello.

Oh no, ancora. Oh Dio, oh mio Dio no.

Matteo guarda la porta.
La porta si apre.
Anche se era chiusa.

Forse il prete l’ha lasciata aperta.

Ci sono due figure sulla soglia. Le ragazze più belle che abbia mai visto.

A pensarci bene potrebbero essere anche due fottuti travestiti. Ma chi cazzo sono? CHE CAZZO STA SUCCEDENDO?

“Ciao, Matteo.”
E’ quella con i capelli rossi che ha parlato.
“Hai fatto il cattivo, vero?”
La voce della mora è dolce come zucchero filato. 
“Non dovresti fartela con i senz’anima.”

Queste sono pazze fuse. Ma dov’è finita la rossa?

Dalla strada la finestra del quarantesimo è piccola. Impossibile vedere negli specchi sul soffitto. Non si sentono le urla. Non si vede la bocca strapparsi nel tentativo di esprimere un dolore inimmaginabile, velato d’eterno.
Le cose trasparenti sono fatte per essere riempite.



In discesa

Caffè senza zucchero.
Vicolo cieco.
Non c’è pace per l’ispettore Cuomo stanotte.
I neon del bar lo feriscono e le sigarette non danno conforto, solo sete.
Un agente respira con dei tubi di plastica infilati nei polmoni e lui non ci può fare niente.
Questa volta è troppo cattivo. Questo è troppo cattivo.
E’ molto semplice, Cuomo fa una vita di merda, ma è meglio che essere morti.
Pensa a questo mentre il sonno striscia, non voluto, sulle sue palpebre.

Inutile. Dopotutto, dopo tanto, finalmente capisco di essere inutile. Codardo. Acquattato come un coniglio davanti agli abbaglianti. In attesa di essere schiacciato.
Cosa voglio salvare? Al di fuori della routine, nessuno che mi ami, nessuno che mi disprezzi o che abbia paura di me.
Una volta ero qualcuno. Forse mi bastava essere giovane per essere qualcuno.
Oggi, solo la caricatura di me stesso.
Perdo i capelli e piscio fuori dal water.
E ho.....................
PAURA.
Paura paura paura paura.
Di morire.
Di essere seppellito sotto la pioggia e dimenticato sottoterra. Di essere mangiato dai vermi senza un lamento. Di diventare acqua terra e polvere. Di piangere e urlare che non voglio e di non essere ascoltato.
Di non esserci più e di capire finalmente che cosa c’era di sbagliato e di non poterci fare più niente.
Ed invece mi nasconderò e vivrò e niente cambierà.
Verrò qui a prendere il caffè, guarderò le tette della cameriera e non le parlerò, mi cresceranno le radici e diventerò nodoso e spelato e inutile, come un albero in un parcheggio.

Ancora loro.

Il ragazzo con la cresta e la ragazzina tatuata entrano nel bar.
Lui sputa in terra.
La cameriera lo guarda male. Cuomo non reagisce, fissa ipnotizzato le braccia della ragazza.
Vermi, diavoli e strisce di fiamma viva si attorcigliano lungo gli arti sottili.
Sotto le ombre colorate dalle bottiglie e dalla strada, i disegni cambiano forma e significato. Diventano un vortice emotivo che trascina Cuomo verso un’angoscia caotica contro la quale egli non può niente.

Se non lasciarmi cullare.

Un mare in burrasca che sommerge l’ispettore, soffocandolo.

Se non lasciarmi affondare.

In discesa.


Se prendi i pesci prenderai il pescatore


Esterno di una villa.
La città luccica lontana, attraverso il viale e gli alti alberi del giardino.
Una brezza leggera porta profumo di fiori e muove i rami spettrali nel buio.
Due fari ormai quasi invisibili tornano, insoddisfatti, verso la metropoli.
E’ la vecchia auto di Martini.

Interno della villa.
Aniel e Asaliah sono in piedi in mezzo al vasto salone. Da fuori si sentono i grilli cantare un’omelia per l’uomo che è stato smembrato e inchiodato a pezzi sulle pareti.
C’è una gran pace. Il profumo dei fiori è anche in casa.
Campanule. È il profumo quasi impercettibile, delicato e raro delle campanule.
Asaliah è immobile al centro. Aniel gli cammina intorno con un’espressione seria. Stasera è donna. Non indossa più il cappotto, ma una giacca jeans e dei pantaloncini corti che scoprono lunghe gambe glabre. È ricoperta di sangue. Ma non c’è nulla di feroce nella sua bellezza o negli occhi innocenti. Ha piuttosto un’aria dolce e smarrita, con il viso pallido, chiazzato di rosso, che la fa sembrare una pittrice dopo una giornata inconcludente sulla tela.
“Non ha parlato, questo non era previsto.”
Asaliah la guarda, ha ancora il cappotto e tiene un tronchese in mano.
“Era molto fedele e ciò è apprezzabile. Purtroppo la sua fede era sviata. Era un assassino quanto colui che stiamo cercando.”
“Anche noi lo siamo.”
“Perfezione non è bene, Aniel, è perfetta coesistenza di male e bene. È per questo che il Signore ha creato il suo Antagonista. Se lo potesse controllare non ci sarebbe Equilibrio. Quindi..........la guerra.”
“Perché stiamo perdendo, Asaliah? Il Signore è più debole del suo Antagonista? Egli è forse stanco?”
“Perdiamo perché l’uomo è debole.”
“ L’uomo è stupido.”
“No Aniel, l’uomo è un albero che dà molti frutti, ma vuole che crescano prima del tempo; l’uomo è perfetto perché Può Scegliere.”
“Noi non siamo perfetti, vero Asaliah? Noi non possiamo scegliere.” Una lacrima le scorre lungo la guancia sciogliendo il coagulo nero come mascara.
“Meglio così. Ora cerchiamo la traccia.”
Asaliah cammina per tutta la casa. Guarda. Ascolta. Annusa.
Poco dopo il suo dito si posa con sicurezza sul bottone della segreteria telefonica.

Parto stanotte, col treno delle otto, Francia, mi farò sentire.

Quando si sta troppo con gli uomini, si impara a commettere errori da uomini. Si impara a non avere più paura di niente.

“Aniel!”
“Si?”
“Padre Martini non ha finito, ci sarà ancora utile.”

I grilli cantano le loro serenate alla luna, alla luce delle stelle, nel silenzio della campagna, lo scempio del corpo è quasi naturale.
Grazie alla mano dell’artista.


Caccia


“Cuomo?”
“Sì? Chi è?”
“Padre Martini, l’uomo che cerca è sul diretto per Parigi delle otto.”
“E lei come fa a saperlo?”
“Segreto confessionale, si muova. Non scherzo.”
“Va bene.”

Martini esce dalla cabina telefonica e torna alla macchina.
Andrea al volante lo guarda irritata.
“Non potevi guidartela da solo?”
“In autostrada? Vuoi che mi ammazzi?”
“Magari.”
“E chi ti pagherebbe l’affitto, signorina? Con chi è la piccola?”
“Con il mio vicino di casa.”
“E’ una persona rispettabile?”
“E’ gay e beve, ma ha un grande istinto materno.”
“Mio Dio, starai scherzando vero?”
“No. Da che parte?”
“Di là, il treno è lento e fa un’ora di pausa per montare dei vagoni, dovremmo farcela.”
“Ci saranno anche quei due efebi maniaci?”
“Ti ho già detto che sono agenti della polizia vaticana.”
“Sicuro, e tu sei James Bond.”
“Chi è James Bond?”
“Sarà pericoloso?”
“Probabilmente, ma tu resterai in macchina.”
“Niente da obbiettare.”
La strada si srotola veloce sulla pianura, la notte è punteggiata di raffinerie e complessi industriali, immoti e minacciosi, nella loro ferrea fascinazione.
Cartelli con nomi di posti, bestemmie o simboli politici e anarchici si susseguono emergendo dal buio, spettri di plastica e cemento con occhi gialli e bianchi.
Sull’orizzonte, tra le nuvole basse, elicotteri stuzzicano i venti, sfiorando i cavi dell’alta tensione.
Il tempo passa nel gracchiare dell’autoradio.
I due tacciono, finché un serpente di luci in movimento non si profila lontano, sulla destra.
Padre Martini lo fissa, stringendo l’elsa del bastone animato.

Gli spiriti del male sono eccitati stanotte.

“Eccolo.”


La faccia della morte


Cuomo è seduto di fianco al letto d’ospedale. Ha occhiaie profonde.
Laura Molise sembra sveglia. L’unico occhio che si apre, in quella che era la sua faccia, fissa attonito il soffitto.
Dicono che sia un miracolo che sia viva.
Dicono che con la chirurgia plastica dovrebbero ottenere risultati incredibili.
Potrebbe anche riuscire a camminare.
Nell’ospedale è tutto così bianco e silenzioso. Cuomo non riesce a trovare nulla a cui attaccare la sua paura.
Non potrà lasciarla lì, come un cappello appeso a un attaccapanni.
Ci sono tubi un po’ dappertutto, la maggior parte entra dentro Molise, in qualche modo.
“Laura, devi ricordare, dimmi com’era fatto.”
La ragazza ha in mano un notes e una matita. Ma sta ancora guardando il soffitto.
“Laura sappiamo dov’è, ma se non so com’è fatto, come faccio a prenderlo? Devi aiutarmi, ti prego.”
Dall’occhio aperto esce una lacrima immensa che s’incunea tra le cartilagini smosse dalla pallottola.
La mano scarabocchia qualcosa sul notes, lo fa con una lentezza irreale, muovendosi al rallentatore nell’aria satura di ossigeno e disinfettanti.
Poche parole:

30  ALTO  CAP NERI  OCCHIALI

Cuomo sperava che non lo scrivesse. In cuor suo sperava che fosse impazzita, che avesse rimosso, dimenticato, che non avesse visto, che ci fosse troppo buio, forse anche che fossa morta..........

Sì, meglio lei che me, meglio lei che me, perché hai ricordato, perché?

“Grazie Laura, sei un bravo agente, sei stata bravissima.”
Cuomo, le sfiora una mano, poi si alza e esce imbarazzato, diventando sempre più piccolo lungo lo sconfinato corridoio bianco.
L’occhio di Molise continua a versare lacrime, copiose e disperate, per l’impossibilità di parlare.

Non andateci  vi ucciderà tutti.


Sequenza finale


Il treno taglia il ventre molle della pianura come un bisturi.
Da dietro gli occhiali il vagone è lungo e sfocato, facce sonnolente che leggono o sbavano sulle cravatte.
Ha in mano un libro, ma gli serve solo per avere l’aria comune di chi ha bisogno di fare qualcosa nei momenti vuoti.
In realtà può aspettare ore fissando avanti a sé, senza battere ciglio e senza pensare a niente.
Ma qualcosa sta andando male.
Il treno pullula di poliziotti in borghese, girano avanti e indietro, pensando di essere invisibili e guardando tutti in faccia con aria spaventata e ottusa.

Qualcosa è andato storto. C’è qualche segugio più bravo di Cuomo che mi dà la caccia.

E’ nervoso.
Gli è capitato di essere stanco.
Ma mai nervoso. Paura?

Fatevi avanti, manichini.

Il treno vibra e sbuffa sui suoi zoccoli di metallo. Fuori la campagna è un’uniforme distesa di niente.
L’aria notturna è attraversata da voli di ombre, che danzano in mulinelli, chiamandosi con un lamento di uccelli notturni.
Sembra che il resto del mondo sia molto distante.

I macchinisti guardano una luce, fissa, lontano sui binari.
“Rallenta.”
“Adesso si sposta.”
“Non c’è una strada là, ti ho detto di rallentare!”
“Ma cosa vuoi che sia, se non è una macchina?”
“Non lo so, da qui sembrerebbe una...................”
Quando la croce infuocata esce dall’oceano di buio che la circonda, i macchinisti sono costretti a frenare.
Il treno scricchiola impazzito, poi resta immobile. Cinquanta metri avanti, sui binari, una croce di legno alta tre metri brucia, lanciando lapilli irriverenti verso il cielo.
Inchiodati alla croce, i resti carbonizzati di un uomo vestito da donna.
I macchinisti lo guardano stupiti. Non sembrano aver realizzato che tutto ciò non è un sogno.

La macchina si ferma. Nella stradina di campagna non c’è un rumore.
Più lontano il treno è fermo davanti ad un qualcosa che brucia.
Martini guarda il rogo.
“Una fortuna inaspettata.”
“Per tutti meno che per il crocefisso. Fottuti terroristi.”
Andrea fuma, è pallida e sembra aver bisogno di dormire un mese.
“Vado, tu resta qui ad aspettarmi.”
“A piedi, ma sei pazzo?”
“No.”
“Fa’ come vuoi.”

Cuomo cammina per i vagoni.

Dio fa che non ci sia, perché so che appena lo vedrò lo riconoscerò.

La mano stretta sulla pistola d’ordinanza.
Guarda tutti: fiumi di espressioni inebetite dall’ora e dall’angoscia del contrattempo. Ha mal di pancia.
Un dolore fisso e meschino che lo distrae.

Devo fermarmi al cesso.
Appena reagisce gli sparo, un colpo, dritto in faccia e sistemiamo tutto.

Si sente piangere un bambino. Sembra vicino ma, mano a mano che Cuomo procede, si allontana. Un pianto insistente e disperato.
Lo sente anche il killer, il pianto, sono dieci minuti che non la smette.

Il pianto di un’anima abbandonata a sé stessa.

Il killer ride tra sé al suo pensiero. Cuomo entra nel vagone. I muscoli del viso gli si contraggono violentemente. Il killer allarga il suo sorriso.

E’ terrorizzato, quel povero imbecille.
Ecco che avanza, dai vieni, vieni Cuomo. Guardami. Bravo. Sei diventato bianco come un sudario. Tieni la mano in tasca. La mano in tasca, illuso.

Cuomo sembra una gelatina. Cammina piano piano verso l’uomo con gli occhiali. Quando arriva tira fuori il tesserino. È stravolto, la voce gli esce roca e indecisa quando dice:
“Polizia, potrei vedere i suoi documenti?” Mostrando il pezzo di cartone.
“Ma certo.”
Il colpo parte tanto veloce e violento da essere invisibile. Con la mano aperta, dritto alla gola. L’ispettore sbatte contro la parete con il fiato risucchiato fino ai piedi, annaspando e cercando aria, con gli occhi strabuzzati, quasi esplosi dal panico. L’assassino si alza e ne vibra un altro. Cuomo diventa blu, non c’è più aria, neanche una goccia per dissetare i suoi polmoni, si piscia addosso e vede la faccia impassibile del suo antagonista dissolversi.
I suoi occhi, dietro alle lenti, sono pronti al colpo di grazia.
Gli mette una mano in bocca premendo l’altra contro la faccia e con una mossa netta gli strappa la mascella.
Cuomo cade a terra, soffocato dal suo sangue, con la lingua snudata che sbatte come la coda di un pesce.
Si sente una detonazione. Una pallottola si schianta contro il petto dell’assassino. Questo guarda il poliziotto puntargli l’arma, lo guarda a lungo, in piedi, con la mandibola di Cuomo in mano e un’aria stupita.
Poi cade sul cadavere.

Martini corre nel buio, ha il fiato corto. Prega ad alta voce, urlando, per spingere i piedi verso il treno.

Ora sono quattro i poliziotti che si avvicinano ai corpi. La gente è uscita tutta.
Uno da un calcio alla gamba dell’uomo con gli occhiali. Ma quando si china per tastargli la giugulare questo lo prende per il collo e gli scarica quindici colpi attraverso il corpo falciando i tre che gli stavano dietro.
Sul vagone cala il silenzio.

La croce brucia e il travestito si stacca a pezzi, trasformato in tizzoni ardenti che riempiono la ghiaia di scintille.

Martini corre, sostenuto dalla preghiera.

Anche l’uomo con gli occhiali corre. Attraverso i vagoni, sparando a tutto quello che sembra un poliziotto. Ha due pistole e lo sguardo di uno convinto che, una volta fatta piazza pulita, il viaggio possa proseguire.

Martini sale sul treno.

Ed è correndo che l’uomo con gli occhiali va a sbattere contro qualcuno. Gli spiana in faccia le pistole. È una ragazza terrorizzata. Ha i capelli rossi ed è bellissima. Viene invaso da un’ondata di desiderio irreprimibile, che si miscela all’adrenalina, confondendolo. Non la uccide. Sente invece uno strano profumo. Poi vede la campanula azzurra che lei stringe in una mano. Il pistillo, battendo sui petali delicati, produce un rumore funerario e assordante. Gli occhi gli si dilatano dal terrore e sta per urlare ma qualcosa gli entra dentro e, attraversandolo, emerge dal petto.
E’ una lama a doppio taglio.
La ragazza lo guarda. Non sembra più spaventata.
“Ti rimandiamo a casa.”
Dietro di lui una preghiera gli scotta le orecchie, mentre la vita scivola sulla punta della spada.
“Padre nostro che sei cieli, sia santificato il Tuo Nome...............”
E’ la voce di un vecchio.
Ma ormai non sente più.


Silenzio


Martini entra nell’automobile.
Sembra più vecchio di dieci anni. Ha la fronte imperlata di sudore, ansima e tossisce.
Andrea lo guarda e un filo di compassione si insinua sotto il consueto disprezzo.
“Stai male?”
“No.”
“Ho sentito degli spari, cos’è successo?”
“E’ morta un sacco di gente laggiù.”
“L’hai preso?”
“Si.”
“E’ questo che conta, no?”
“E’ questo che conta.”
“Battista, quando sarà finita?”
“Mai.”
 Fumo di sigaretta che esce piano dalla bocca di lei.
“Ora fai un po’ di silenzio, devo pregare.”
























Nessun commento:

Posta un commento