domenica 1 novembre 2009

David Fincher: il buio si avvicina.

Storia e filmografia di uno dei massimi talenti registici degli ultimi vent’anni Pt.1

I. Effetti Visivi e Video Musicali. La preistoria di un mito, 1984-91.

David Fincher è nato a Denver, Colorado, nel 1962. A diciotto anni, dopo essersi innamorato de L'impero colpisce ancora, riesce ad entrare nella Industrial Light & Magic di George Lucas. Il suo primo lavoro è quello di assistente cameraman per le riprese dei modellini e degli effetti ottici nel Ritorno dello Jedi. È il 1983. Le sue capacità nel campo delle arti visive lo portano al dipartimento di Pittura Matte della ILM, dove si dipingono e fotografano su vetro i fondali troppo costosi per essere costruiti come set, onde poi sovrapporli alla pellicola. Una collaborazione che continua per due film: La Storia Infinita (1984) e Indiana Jones ed il Tempio Maledetto (1984). Dopo l'esperienza con Lucas, Fincher decide che è tempo di confrontarsi con la regia vera e propria e, dal 1985 al 1992, si costruisce una solida fama dirigendo spot pubblicitari e video musicali, sei dei quali entrano nella lista di MTV USA dei cento videoclip migliori della storia. Madonna ne fa il suo regista prediletto affidandogli Express Yourself, Oh Father, Vogue e Bad Girl, lo stesso accade per quattro canzoni di Paula Abdul e per il memorabile Janie's Got a Gun degli Aereosmith, forse il video che meglio sintetizza il suo futuro stile cinematografico. Negli anni successivi continua a collaborare con artisti del calibro di Mark Knopfler (Storybook Love dalla colonna sonora de La storia Fantastica), Ry Cooder, Sting (Englishman in New York), Billy Idol (Cradle of Love, L.A. Woman), per finire, già affermato al cinema, con Rolling Stones (Love is Strong) e Wallflowers (6th Avenue Heartache).

II. Alien3, 1992.

Tra il 1982 ed il 1984 accadono due cose straordinarie. La prima è l'uscita nelle sale di Blade Runner, di Ridley Scott, uno dei film di fantascienza più famosi di tutti i tempi, caposaldo stilistico di una new wave cinematografica di matrice dark ancora in voga. Lo stile di Ridley Scott resta il referente più vicino alle invenzioni visive alle quali Fincher ci abituerà nei dieci anni successivi.
La seconda è la pubblicazione di Neuromante, di William Gibson, libro fondatore del movimento cyberpunk, forse uno dei fenomeni di costume più influenti degli anni '80.
I due autori immaginano, senza conoscersi, un futuro oscuro, notturno, piovoso e verticale, privato di umanità e speranza. Gibson, figlio del postmodernismo più sfrenato, è ossessionato dalla fusione di uomo e macchina, laddove Scott pone l'accento tra la loro convivenza, quando non si potrà più distinguere cos'è l'uno e cos'è l'altra. Gibson, inoltre, spaventato dalla New Economy statunitense, basata sull'idea di megacorporazione, cita con puntuale minuzia la marca di tutti gli oggetti che appaiono nei suoi libri, trasmettendo questa alienazione industriale a Breat Easton Ellis il quale, a sua volta, la trasformerà in uno degli elementi caratteristici del suo romanzo di culto: American Psycho. Il movimento cyberpunk, immerge i suoi protagonisti nella "allucinazione consensuale" del cyberspazio, spingendo la cultura della decade verso una repentina perdita dell'importanza del corpo a favore dei dominii eterei della telematica.
Fincher, dal canto suo, approda alla regia quando il cyberpunk si sta ormai spegnendo e si ritaglia un ruolo da leader nella controrivoluzione degli anni '90, in cui narrativa e cinema riportano con prepotenza l'uomo nel dominio della carne.

Il progetto del terzo Alien è un fallimento sin dall'inizio. La prima sceneggiatura viene affidata a William Gibson, il quale continua la storia dove Cameron la interrompe in Aliens, mantenendo Ripley, Newt, Hicks e Bishop come protagonisti in un contesto di scontro militare su una base orbitante, simile a quello del secondo episodio. Lo script, ancora reperibile in rete, è eccellente, ma viene rifiutato, qualcuno dice perché l'equipaggio della Sulaco viene tratto in salvo da una nave russa e Gibson si rifiuta di cambiarne la nazionalità, altre versioni, più sensate, adducono, come causa del rifiuto, un budget non all'altezza del progetto.
La sceneggiatura che approda sullo schermo, pur contenendo alcuni dei migliori dialoghi della serie, manca completamente di trama e viene rimaneggiata fino a portare sei firme, tra cui spiccano quella di Dan O'Bannon (regista de Il ritorno dei morti viventi, sceneggiatore del primo film di John Carpenter Dark Star e di Screamers, nonché soggettista del primo Alien), di Walter Hill (regista de I guerrieri della notte, produttore della serie TV Tales from the Crypt e soggettista di Aliens) e Vincent Ward (regista di Navigator).
Fincher, al suo primo film, sembra una scommessa valida: è una pedina sacrificabile. Ma sarà proprio l'eccezionale regia del giovane David a salvare il film dalla catastrofe, mutuando lo stile di Blade Runner, con un vasto uso di ombre e colori ambrati. L'atmosfera medioevaleggiante del carcere spaziale, nel quale la scienza è solo un ricordo, esce prepotente dallo schermo, affascinando lo spettatore fino a fargli dimenticare l'inconsistenza del film.
Roger Ebert, una delle voci più importanti della critica americana, lo definisce "il più brutto film meglio diretto che io abbia mai visto" lanciando un plauso particolare alle travolgenti soggettive del mostro quando insegue i protagonisti.
Unico film schiettamente horror della filmografia Fincheriana, Alien3 trova, inoltre, un approccio inedito alla figura dell'alieno: per sottolineare il contesto primitivo dell'ambientazione i galeotti, che hanno fondato tra loro una setta religiosa, lo chiamano il Drago. Alien viene quindi, per la prima volta, riconosciuto come paura primordiale, mostro dell'antichità, e sarà proprio Ripley, in un dialogo con un secondino, a sancirne la rinascita come Bau-Bau, riassunto di tutti i brividi infantili da filastrocca, sfumatura che, nella versione italiana va perduta:

85: You're gonna go and look for it? (Davvero vai a cercarlo?)
Ripley: Yeah. I have a pretty good idea where it is. It's just down there. In the Basement. (Si. Credo di sapere dove si nasconde. È nei sotterranei. Proprio giù in fondo.)
85: This whole place is a Basement. (L'intero posto è un sotterraneo.)
Ripley: It's a metaphor. (È una metafora).

Il Basement cui si riferisce Sigurney Weaver, erroneamente tradotto con sotterraneo, significa cantina - sottoscala, ed è per questo che è una metafora, perché l'alieno, come tutti gli orrori atavici, si nasconde nel luogo più buio, più spaventoso, più remoto e scontato: quello che ci faceva paura fin da bambini.
Fincher sottolinea l'atmosfera apocalittica dell'opera con inquadrature impietose e violente: l'occhio di Newt, la bambina di Aliens, sottoposta ad autopsia, accompagnato dal rumore dei ferri al lavoro. L'effetto splatter dei resti del galeotto travolto dal ventilatore; la citazione da La Cosa, di Carpenter, dell'alieno che esce da un cane, dal quale prende l'aspetto, più da animale e predatore, che nei film precedenti. Il primo piano di Bishop, androide distrutto, risvegliato per essere interrogato; altro dialogo splendido, mutilato in italiano delle parole più significative:

Ripley: How are your feelings? (Come stai?)
Bishop: My legs hurt. (Mi sento a pezzi)
[………….]
Bishop: It's very dark here, Ripley. I'm not what I used to be. [….] I hurt. Do me a favour, disconnect me. I could be reworked. But I'll never be top of the line again. I'd rather be nothing. (È molto buio qui. Non sono più quello di una volta. […….] Soffro. Ti prego Ripley, disconnettimi. Potrei essere riattivato, ma non sarei più al massimo. Preferisco non essere.)

Come può un robot, del quale restano solo la testa ed un braccio, sentire dolore alle gambe? (my legs hurt). Il male clinicamente conosciuto come Sindrome dell'Arto Fantasma, che affligge veterani e vittime di incidenti, i quali, a volte, credono di percepire del dolore provenire dalle braccia o gambe che non hanno più, è cosa umana.
Il Robot è ormai uomo, si è fatto carne, addirittura più dei replicanti di Blade Runner, perché questo Robot, a differenza loro, di carne non è fatto, ma pelle finta, plastica e circuiti. Il suo canto criptico di dolore, oscurità e malinconia verso un'esistenza precedente, cancellata dallo shock, dalla morte e dal ritorno forzato tra i vivi, è il culmine ed il testamento del cyberpunk. La dicotomia uomo-macchina è esaurita. La scienza è perduta. La carne ricomincia a pesare.
Fincher resta molto colpito dalle tematiche del film che è chiamato a dirigere e, per dirci tutto questo, uscito unico vincitore dal fallimento commerciale di Alien3, dovrà aspettare il prossimo film, il suo capolavoro: Seven.

III. SE7EN, 1995.

A metà degli anni '90 la cultura d'oltreoceano era invasa da una nuova moda musicale, che ben presto si sarebbe propagata in tutti i territori dell'arte: l'Industrial. Una musica inquieta, dissonante ed aggressiva, percorsa da rari ma intensi momenti di malinconia. Musica per una generazione spaesata, rabbiosa, con pochi valori ed un grande desiderio, neanche troppo inconscio, di autodistruzione. David Fincher sarà uno dei portavoce di questa generazione. Non è un caso che SE7EN, il suo film più famoso e riuscito, inizi con una canzone dei Nine Inch Nails (Closer "precursor" remix) di Trent Reznor, creatore, assieme agli Einsturzende Neubaten, dell'Industrial e finisca, nei titoli di coda, con The Heart's Filthy Lesson, di David Bowie. L'album OutsideI, pubblicato da Bowie e Brian Eno sempre nel '95 è tutto incentrato su una domanda importantissima per il decennio passato, alla quale fu proprio Fincher a dare una forte risposta affermativa: si può fare arte con la violenza?
Kubrick, Tarantino ed Oliver Stone avevano già espresso opinione positiva con Arancia Meccanica, Le Iene e Assassini Nati ma la loro era una visione della violenza geometrica, intellettuale, perfetta ma, forse, un po’ asettica; dal canto suo l'ultraviolenza disordinata di Natural Born Killers era troppo ironicamente concentrata nella sua satira anti-media.
L'urlo di Fincher colpisce l'immaginario di un'intera generazione di critici, spettatori e cineasti perché viene direttamente dalle viscere o, perlomeno, è intelligentemente concepito per sembrare viscerale.
SE7EN è un capolavoro fino dai titoli di testa: un montaggio angosciante e complesso di fotogrammi e sequenze sovrapposte, che illuminano il diario del serial killer, pieno di fotografie e disegni che mostrano varie atrocità, il tutto scandito dalla musica dei NIN. I titoli più plagiati della storia. Gli anni '80 avevano avuto Hannibal Lecter, i novanta erano pronti per il killer dei peccati capitali e, dopo di lui, il thriller non sarebbe più stato lo stesso.
Fincher era tornato a dirigere video musicali quando un giovane sceneggiatore di grande talento, Andrew Kevin Walker (8mm, Sleepy Hollow) gli portò la sceneggiatura del film. Fu l'inizio di un sodalizio durato ufficialmente un solo film; in realtà Fincher fece rivedere integralmente a Walker anche le sceneggiature di The Game e Fight Club.
Ambientato in una città d'invenzione che riassume tutte le metropoli americane (gli esterni furono girati a New York e Philadelphia, gli interni a Los Angeles) SE7EN si ispira ancora al look gotico di Ridley Scott, questa volta attingendo a piene mani dalla fotografia buia e claustrofobica di Black Rain del 1989. La pioggia battente che scroscia per tutto il film viene, invece, direttamente da Blade Runner. Il tutto è farcito con un cocktail di elementi cari alla cultura di quegli anni: body art, pornografia, graffiti art, spazzatura, nichilismo. In poche parole un perfetto riassunto di quell'imprendibile forma mentis chiamata postmodernismo, la quale, a differenza di tutti i modelli culturali precedenti, sembra non voler morire ma cambiare, adattarsi ed inglobare ogni tendenza più giovane.
Trama, personaggi e sequenze mozzafiato, tra cui uno degli inseguimenti meglio girati del cinema moderno, fanno di SE7EN un film storico ed imperdibile. L'orrore dei cadaveri "in posa" di Fincher resterà scolpito a lungo nell'immaginario del pubblico, che, per la prima volta, si trova ad essere testimone dell'unione tra scultura e macelleria.
A dare una mano il mitico truccatore Rob Bottin (Fog, L'ululato, La Cosa, Legend, Robocop, Atto di Forza) creatore, tra gli altri, del cadavere del ghiottone e del make-up dell'ignavo, che tutti scambiarono per un manichino ma che era, invece, un attore molto magro, completamente ricoperto di trucco, con una dentiera gigante per far apparire il cranio più scheletrico.
Ma forse quello che importa di più è che il male vince su tutta la linea, il cerchio del killer si chiude perfettamente, elemento non inedito ma certamente dimenticato dopo molti anni di un buonismo cinematografico che non aveva risparmiato neanche i (pochi) horror ad alto budget dell'epoca. Una versione alternativa della sceneggiatura che prevedeva che fosse il detective Somerset (Morgan Freeman) a sparare al killer per impedire che Brad Pitt si trasformasse nella vittima della Rabbia, fu, per fortuna, scartata.
La sinfonia della carne iniziata con Alien3 ricevette così il suo movimento più importante in attesa di un altro grande assolo: Fight Club.

IV. The Game, 1997.

Il terzo film di Fincher segna un riuscito momento di inventiva e disimpegno ed è ispirato al famoso racconto di Charles Dickens, Il canto di Natale, dove un avaro che si appresta a passare un Natale triste e solitario viene redento dai fantasmi dei natali passato, presente e futuro. In questo caso un avarissimo ed acidissimo Michael Douglas si appresta a passare un compleanno altrettanto triste e solitario, quando un regalo del fratello ripudiato gli cambia la vita.
Il gioco che viene dato in dono, una sorta di allucinante candid camera, si trasforma in un incubo e porta il malcapitato ad un livello di disperazione tale da volersi togliere la vita. Solo morendo si può rinascere e capire gli errori del passato.
Favola dark a tratti angosciante ma in realtà divertita e divertente, The Game, è un film intelligente nella costruzione e spregiudicato nella sua irriverente inverosimiglianza. Girata con i soliti toni scuri, la pellicola è scandita dalle musiche ipnotiche di Howard Shore (Oscar per La compagnia dell'Anello), autore di tutte le colonne sonore delle opere di Fincher.
The Game viene, a torto, considerato un film minore, ma sarà sicuramente rivalutato col tempo anche grazie all'uso di alcuni stilemi tipicamente horror applicati in un contesto originale: il pupazzo pagliaccio abbandonato in cortile nella stessa posizione del padre suicida di Michael Douglas, l'incertezza su tutto e tutti che si trasforma in paranoia e follia.

V. Fight Club, 1999.

Il quarto film di Fincher è una delle opere che meglio ritraggono le paure e le frustrazioni dei trentenni occidentali. Opera splendida e sottostimata, Fight Club si sta guadagnando un seguito di fedelissimi fanatici e non sarebbe esagerato definirlo l'Arancia Meccanica del duemila. La sceneggiatura segue pagina per pagina il romanzo omonimo di Chuck Palahniuk, smorzandone qualche eccesso e mette in scena l'esplosione delle frustrazioni della gente normale, disposta a creare circoli di combattimento clandestino, conscia che il dolore fisico della rissa è l'unica prova dell'essere vivi. I membri di questi circoli vengono in seguito organizzati in una società terroristica anarco-ambientalista nel programma, ma nichilista nell'animo, il cui scopo è la distruzione della società basata sull'acquisto e la vendita. In realtà, il desiderio ultimo di queste persone, è distruggere "tutto ciò che c'è di bello e non potremo mai avere".
La prima rivoluzione cinematografica dei colletti bianchi americani è diretta da Fincher con una serie di sequenze sbalorditive che rendono il film fluido ed innovativo. La telecamera si infila nei cestini della spazzatura, scivola lungo strade e pavimenti, sovrappone abilmente realtà ed allucinazione facendosi, per più di due ore, soggettiva della mente malata del protagonista.
Per una volta stile e contenuto sono alla pari: chiunque abbia sperimentato sulla sua pelle la monotonia alienante del lavoro impiegatizio, della solitudine delle varie metropoli e città, si lascia rapire dalla forza ironica di questa satira violentissima. Un ritorno astuto e convincente alle tematiche della fisicità e dei bisogni elementari della vita.
Ancora una volta Andrew Kevin Walker rivede lo script e, per omaggiarlo, il regista chiama i poliziotti che cercano di castrare il povero Edward Norton, Andrew, Kevin e Walker.

VI. Panic Room, 2002.

Fincher torna al thriller con il suo film meno riuscito. Madre e figlia si trovano, nella loro prima notte in una casa nuova, assediate da due ladri dilettanti ed uno psicopatico, nella camera blindata fatta costruire dal precedente proprietario. Ma il tesoro che gli intrusi vogliono è proprio lì.
Appesantito da troppi virtuosismi e reso poco credibile da una sceneggiatura piena di azioni incongruenti e dialoghi di maniera, Panic Room è un buon film di cassetta, diretto con sicurezza addirittura eccessiva, meno teso di quello che ci si potrebbe aspettare.
I ladri sono così stupidi che neanche pensano di uscire da dove sono entrati (il tetto), preferiscono attraversare tutta la casa per uscire dall'ingresso dove sanno che li attende una Jodie Foster armata e molto arrabbiata……..
La parte della Foster doveva essere di Nicole Kidman, infortunatasi durante le riprese di Moulin Rouge. L'attrice australiana, per farsi perdonare, presta la voce telefonica alla fidanzata dell'ex marito della protagonista.
Andrew Kevin Walker compare nella parte di un vicino assonnato che viene svegliato da una maldestra richiesta d'aiuto delle due assediate.

VII. Zodiac, 2007.

Dopo cinque anni di silenzio, il naufragio del progetto fantascientifico Rendevous with Rama e la mancata partecipazione a Mission Impossible III, Fincher torna con la sua opera più personale. Analisi torrenziale della caccia all’uomo che negli anni ’60 e ’70 sconvolse la Baia di San Francisco, “Zodiac” è un affresco storico e psicologico tecnicamente straordinario anche se narrativamente involuto. Una malìa visiva che, alla lunga, si perde nel continuo girare a vuoto di trama e personaggi. Presentato a Cannes ma fallimentare al botteghino questo kolossal di due ore e quarantadue minuti segna il passaggio del suo creatore dalla tribù dei registi hollywoodiani a quella degli “autori” internazionali. Il riconoscimento da parte della critica più snob farà piacere a chi, da subito, aveva individuato in Fincher uno dei cineasti più influenti del cinema moderno

Filmografia

Assistente effetti ottici:

Il ritorno dello Jedi, R. Marquand, USA, 1983. Assistente cameraman: miniature ed effetti ottici.
La storia infinita, W. Petersen, D, 1984. Assistente fotografia Matte, ILM.
Indiana Jones ed il Tempio Maledetto, S. Spielberg, USA, 1984. Fotografia Matte.

Video Musicali, regia:

1986-may All the love The Outfield
1986-sep Everytime you try The Outfield
1987-mar She comes on Wire Train
1987-apr Endless nights Eddie Money
1987-may Downtown train Patty Smyth
1987 Shattered dreams (version 2 : USA) Johnny Hates Jazz
1987-jul Johnny B The Hooters
1987-aug Storybook story Mark Knopfler
1987 Englishman in New York Sting

1987-oct No surrender The Outfield
1987 Get rhythm Ry Cooder
1988-feb Heart of gold Johnny Hates Jazz
1988 Real love Jody Watley
1988-may Roll with it Steve Winwood
1988 The way that you love me (version 1) Paula Abdul

1989-feb Straight up Paula Abdul

1989-may Forever your girl Paula Abdul

1989-may Express yourself
Madonna

1989-jun The end of the innocence Don Henley
1989-oct Cold hearted Paula Abdul

1989-nov Janie's got a gun Aerosmith
1989-nov Oh father
Madonna

1990-mar Vogue
Madonna

1990-apr Cradle of love Billy Idol

1990-aug L.A. woman Billy Idol

1990-nov Freedom '90 George Michael
1993-feb Bad girl
Madonna

1993-mar Who is it? (version 2 : breakup story)
Michael Jackson

1994-jul Love is strong The Rolling Stones

1996-feb 6th Avenue heartache The Wallflowers

2000-may Judith A Perfect Circle



Film, regia:

Alien3 , USA, 1992.
SE7EN, USA, 1995.
The Game, USA, 1997.
Fight Club, USA, 1999.
Panic Room, USA, 2002.
Zodiac, USA, 2007.
Il curioso caso di Benjamin Button, USA, 2009

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