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lunedì 7 giugno 2010

La corsa selvatica


Storia, fantasy e horror: Riccardo Coltri, veronese, classe '73, ha un'immaginazione da fuoriclasse. Vi riporto la recensione del suo ultimo romanzo scritta dal sottoscritto per Sugarpulp. Come sempre la trovate impaginata su Sugarpulp.it

Poco dopo l’Unità d’Italia, al confine tra Veneto e Tirolo, in mezzo a valli innevate, foreste e borghi isolati, si combatte una guerra occulta. I soldati non indossano uniformi, sono agenti in incognito di fazioni esoteriche: maghi, sciamani e medium, alcuni al soldo del Re, altri richiamati dal risveglio di una terribile leggenda, quella della “corsa selvatica”: un branco di cani neri, sfuggenti come demoni, assistito da legioni di corvi e ratti, che infesta la regione. Ma si tratta di semplici animali? Perché gli indizi sulla loro origine sono disseminati tra testi di stregoneria, lapidi, rune e rovine pagane?
Questo l’accattivante assunto di “La corsa selvatica” (edizioni XII), terzo romanzo del veronese Riccardo Coltri (dopo l’horror “Non c’è mondo” e la fantasy “Zeferina”), già redattore della rivista “Inchiostro”, co-fondatore di “FantasyMagazine” ed esperto di folklore italiano.
Il suo ultimo romanzo, sebbene soffra, a tratti, di una struttura volutamente ma eccessivamente frammentaria, è una boccata d’aria fresca nel panorama sconsolante dell’horror italiano. Coltri evoca paure ancestrali, paesaggi remoti, mostri e rituali, fondendoli con un background storico credibilissimo (a partire dai nomi, dalla lingua, dai dettagli di vestiti e armi da fuoco), dinamico e spaventoso. Non teme lo splatter (memorabile la creazione di un mostro costruito cucendo insieme una malevola trinità di bestie) e neanche la mattanza dei suoi personaggi, poco più che comparse in una sinistra staffetta di situazioni da incubo.
Peccato, perché il tirolese Obkircher (che indossa penne nere d’aquila sulle orecchie per vedere meglio la notte), il medium Efrem Vandari, che “annusa” la morte e riceve messaggi dalle ombre, la bella Maddalena Tani (strega tatuata di Benevento) e il coraggioso Zamin avrebbero meritato più occasioni per farci apprezzare le loro personalità, che già emergono prepotenti con poche pennellate, facendoli emergere dalla pagina come fossero illustrazioni.
“La corsa selvatica” spaventa e confonde, congiurando atmosfere che (e qui entra in gioco il mio riflesso involontario di critico cinematografico) ricordano quelle portate sul grande schermo dallo “Sleepy Hollow” burtoniano, da “Il patto dei lupi” di Christophe Gans o dal sottovalutato canadese “Licantropia”. I riferimenti letterari partono da Lovecraft (il male intravisto ma immenso) pur affondando solide radici nella terra e nelle vere leggende dell’arco Alpino.
Una voce nuova, originalissima, da tenere d’occhio.         

martedì 22 dicembre 2009

"Mirko e il mostro" (e altre cattive idee)


Prendete una dose di William Borroughs, due di Hunter S. Thompson, una di H.P. Lovecraft, mezza di Roberto "Freak" Antoni, miscelatele bene, raccogliete l'informe, provocatoria, sensuale poltiglia che ne risulta e fatela dirigere a quattro mani da Tim Burton e Terry Gilliam, dopo aver fatto leccare a entrambi un francobollo di LSD. Adesso avete un'idea vaghissma di quello che passa per la testa dello scrittore veneziano Carlo Vanin, classe 1977, la cui prima raccolta di racconti si chiama "Mirko e il mostro e altre cattive idee". La trovate in vendita sul suo blog che è linkato col mio (guardate CATTIVE IDEE, sulla sinistra). Perché comprarla se non siete fatti fusi e in cerca di un trip? Semplice: perché Carlo ha dei momenti di vera ispirazione, che si trasformano in passaggi di rara evocatività e struggente malinconia. Il racconto lungo (o romanzo breve che dir si voglia) che da il titolo al libro è la storia di un adolescente il cui cervello è stato paralazziato dal benessere e dalla volgarità di un nordest pingue, vigliacco e razzista. Un giorno, nella sua classe, entra una donna mostro. Tutti fanno finta di niente ma l'universo di Mirko, per la prima volta a contatto con la diversità, viene rovesciato come un calzino. Inizia a pensare. E quando Lovecraft entra a gamba tesa in due sequenze oniriche, a cavallo tra horror e fantasy, Vanin prende il volo, dimostrando che, con un po' di disciplina in più (il testo merita una revisione), potrebbe diventare una delle penne più originali del panorama italiano. 
Nel "Vizietto dell'onorevelo Marcozzi" un politico puttaniere s'innamora sensualmente di un quadro. Ma è più di una caricatura del malcostume italico: nella follia di una seduta parlamentare all'acido Fellini incontra Paolo Villaggio e la giostra costerna e diverte.
Leggendo il suo blog ( e di nuovo vi rimando al link qui di fianco), pieno di spunti grotteschi e fulminanti e imbattendosi nell'eccellente racconto "I mostri del commissario Elio Gamba" si ha la netta sensazione di aver finalmente incontrato una fantasia rara e prolifica, di quelle che non si risparmiano in convenzioni ma abbattono, poiuttosto, tutti i muri che le stanno davanti (pur non procedendo mai in linea retta!!). Bravo Carlo.

giovedì 10 dicembre 2009

Savana Padana



Criminali veneti contro zingari contro cinesi contro carabinieri. Una giungla d’asfalto? No, è la “Savana Padana” (editrice zona) nata dalla penna del fondatore di Sugarpulp Matteo Righetto e disponibile in libreria (come sempre: dove non trovate sullo scaffale ordinate e pazientate!!). Perché leggerlo? Perché bastano un paio d’ore e scoprirete che gli eccessi di “Grindhouse” non sono imprescindibili dalle location americane, anzi. La bassa, coi suoi fossi e le sue canicole sahariane, coi suoi popoli stralunati, si presta con voluttà all’inedito trattamento. Un’operazione che non ha niente a che fare con le blandezze di certo Ammaniti o coi “paesi di luce” di Lucarelli: questo è pulp vero, politicamente scorrettissimo, cattivista, violento, esilarante, volgare, fantasioso. Righetto riscrive uno “The Snatch” al ragù di cinghiale, presentando personaggi più zozzi e sboccati di quelli che tormentano il meridione di Ciprì e Maresco, ma scambia l’angoscia di quest’ultimi con una comicità sanguinaria degna della coppia Tarantino-Rodriguez. Momento di culto assoluto: il porcaro Nereo spiega, in dialetto veneto, le qualità antropofaghe dei suoi tre verri di razza inglese. Altro che “Hannibal”, indecisi tra il morire dal ridere e il vomitare rischierete di scoprire un’amara verità. Nessuno scrive così in Italia. Certo il romanzo, per breve che sia, avrebbe richiesto un editing più attento (come alcuni blogger un po’ snob hanno sottolineato fin troppo) ma, a noi, cosa ce ne frega di qualche refuso? Non è che se Bob Dylan stona ci lamentiamo: la canzone è bella lo stesso. Godiamoci, piuttosto, il valore anarchico (e non lo dico in senso politico) di un libricino che cambia le regole. Niente più perbenismi, niente più romanzi studiati a tavolino per appagare le sensibilità arteriosclerotiche di lettori medi che neanche esistono. Si dice: “parla come mangi”. E allora è bello, per una volta, trovare qualcuno che scrive come mangia. E per fortuna mangia pesante. Aspettiamo Matteo alla seconda prova. Leggetelo!