sabato 5 dicembre 2009

Otto Rahn e il Santo Graal



Gli esseri umani hanno bisogno di credere nel trascendente. Religione, superstizione e soprannaturale sono comuni ad ogni società, ogni epoca, ogni continente. Oggigiorno, dopo il grande inurbamento, l’avvento di Internet e della fotografia satellitare, sembrerebbe che non ci sia più spazio per credere in qualcosa che viva ed esista oltre la realtà tangibile. È un errore. L’uomo, più si sente chiuso, immatricolato da una vita soffocante e meccanica, più tenderà verso la ricerca del mistero, di qualcosa che lo salvi dalla banalità del quotidiano. Dan Brown questo lo sapeva bene. “Il Codice Da Vinci” è stato confezionato pensando al desiderio di evasione del lettore. Un libro di avventure, infarcito di rompicapi e misteri attinti dalla letteratura esoterica per hobbisti, con qualche maliziosa frecciata contro Roma e la chiesa. Sembra la ricetta perfetta per diventare miliardari. Ha funzionato. Dan Brown, uno scrittore mediocre, con due libri fallimentari alle spalle (“Angeli e Demoni” e “La Verità del Ghiaccio” sono stati scritti prima de “Il Codice Da Vinci” e poi ristampati) è riuscito anche a trovate un ingrediente non proprio segreto ma infallibile: Il Santo Graal. La ricerca del Graal, in una qualunque delle sue molte forme, ha caratterizzato la storia letteraria e mistica Europea a partire dall’Alto Medioevo fino ad oggi. Promessa di vita eterna o di ricchezza e conoscenza assolute, il Graal è stato al centro della leggenda di Re Artù, nelle sue derivazioni Bretoni (francesi) e Sassoni (inglesi e tedesche) e di quella dei Templari. Non c’è da stupirsi che sia diventato il mistero per eccellenza. La pietra filosofale dell’esoterismo. C’è chi dice che sia la coppa dalla quale Gesù bevve durante l’ultima cena, c’è chi sostiene che Giuseppe d’Arimatea vi raccolse il sangue che sgorgava dal costato del Cristo crocefisso; c’è chi pensò, molto prima di Dan Brown, che si trattasse dello storpiamento di Sang Real, Sangue Reale: la verità sulla discendenza terrena del Figlio di Dio. La letteratura sull’argomento, seria e meno seria,  è sconfinata. La collina di Glastonbury in Inghilterra, la cappella di Rosslynn in Scozia, il Crac des Chevaliers in Siria: tutti presunti nascondigli della Coppa, sono, ormai, mete turistiche. Ma c’è qualcuno che abbia veramente cercato il Graal? Qualcuno che abbia fatto i bagagli e, in tempi recenti, sia partito alla sua effettiva ricerca? Esiste qualcuno del quale si abbia almeno il sospetto che possa averlo trovato? Si. Si tratta di una figura ambigua, affascinante e semidimenticata. Dan Brown non lo cita. Ma l’unico cacciatore del Graal degno di credito del novecento è stato Otto Rahn. Rahn nacque il 18 Febbraio del 1904 a Michelstadt, in Germania. Durante gli studi universitari sviluppò un grande interessa per la storia e per la letteratura medioevali. In particolare arrivò alla conclusione che il poema “Parzifal”, scritto da Wolfram von Eschenbach tra il 1200 d. C. e il 1210 d. C., contenesse le reali indicazioni per trovare il Graal. Lo scrittore, pur rimaneggiando la materia già trattata da Chrétien de Troyes nel suo “Le conte du Graal”, rivelava influenze di cultura orientale e citava, come ispiratore diretto, il trovatore Kyot, una figura forse inventata, a volte identificata con Guiot de Provins. Sembra che questa misteriosa figura fosse venuta in contatto con l’eresia Catara o, perlomeno, Rahn ne era convinto. Dal 1929 al 1932 lo studioso tedesco viaggiò in Francia, finendo per stabilirsi in Linguadoca (dove aprì un albergo), nella regione attigua ai Pirenei. Rahn era convinto di aver trovato il rifugio del Graal descritto nel “Parzifal”: quel Munsalvaesche che Wagner aveva rinominato Montsalvat. Si trattava della fortezza Catara di Montsegur. L’eresia catara era stata percepita come una minaccia così grande, da Roma, da meritarsi una crociata tutta sua: l’unica mai proclamata su suolo Cristiano. La crociata Albigese, il cui nome deriva dalla città di Albi, dove, all’epoca, si pensava fosse nata l’eresia (in realtà si trattava di Tolosa), iniziò formalmente nel 1209. Finì con la caduta di Montsegur nel 1244. I catari sostenevano di rifarsi a tradizioni molto più antiche di quelle di Roma e l’etimologia del loro nome derivava dal Greco, col significato di: “Puri”. Per loro lo scontro che li portò all’annientamento era una battaglia tra Amor e Roma, con la parola Amor, amore, sdoganata dalla tradizione poetica della loro regione a significare “il contrario”, la ribellione nei confronti di un centro della fede considerato ottuso e dittatoriale. Amor, inoltre, rotto in A-Mor significa “Senza Morte”, immortale. I rapporti tra catari e Templari erano fitti e le dicerie che un tesoro segreto si nascondesse nelle viscere di Montsegur diffuse in tutta la Francia. Rahn identificò i catari con l’ordine di cavalieri che, nel “Parzifal”, difendeva il graal, il quale non era una coppa ma un gioiello con 144 facce o una collezione di 144 tavolette svelanti i misteri di una fede primordiale. Rahn era particolarmente attratto dall’idea che potesse trattarsi di una delle gemme perse dalla corona di Lucifero nella sua caduta. Lo studioso tedesco identificava Lucifero come un dio solare, il portatore di luce che aveva sconfitto le tenebre dell’ortodossia cattolica. Per anni, da esperto speleologo ed alpinista, esplorò il sottosuolo della rocca e le caverne della regione, spingendosi fino alla grotta di Lombrives, detta la Cattedrale. In questa gigantesca sala sotterranea, alta più di 80 metri, dove i catari svolgevano le loro funzioni (e, prima di loro, veniva venerato il dio iberico del sole Illhomber), trovò pittogrammi che indicavano un’inequivocabile presenza templare (tra cui una raffigurazione della lancia di Longino, il soldato romano che ferì Gesù al costato). Gli abitanti della regione impararono a conoscere Rahn, descrivendolo come un eterno adolescente, con una passione sfrenata per il Graal e la Tradizione Ermetica. Quando, nel 1933, pubblicò il suo primo libro: “Kreuzzug gegen den Gral” (Crociata contro il Graal), attirò molta attenzione. Heinrich Himmler, il gerarca nazista fanatico ricercatore di occultismo, lo volle nelle SS. Venne integrato, come Unterscharfurher, all’interno della Ahnenerbe. La Società per l’Isegnamento e la Ricerca  dell’Eredità Ancestrale (Anhenerbe Forschungs- und Lehrgemeinschaft) era stata creata da Himmler e Hermann Wirth nel 1935, con lo scopo di trovare prova dell’esistenza di una cultura ariana preistorica, i cui costumi e la cui religione sarebbero diventati i fondamenti del nuovo mondo dominato dal Reich. I nazisti dipinti nei film di Indiana Jones, intenti alla ricerca dell’Arca dell’Alleanza e del Graal, sono stati una realtà storica. Purtroppo la realtà riesce sempre a superare la fantasia. Le SS cercarono a lungo, nelle montagne del Tibet, l’entrata delle caverne che li avrebbero portati a Shamballa, mitica città dove gli antenati della razza ariana vivrebbero, tutt’oggi, con i loro segreti. Rahn venne mandato in Islanda, alla ricerca di Thule, altra patria mitica dell’arianesimo. Il suo secondo libro “Luzifers Hofgesind” (La corte di Lucifero), del 1937, non raddoppiò il successo. Era, inoltre, intriso d’idee nazionalsocialiste. Nello stesso anno cadde in disgrazia. Venne mandato, per punizione, come guardia al campo di concentramento di Dachau. L’esperienza lo sconvolse. Dopo aver espresso apertamente le sue idee contro la guerra che si stava preparando: “Provo una grande pena per il mio paese. Due settimane fa ero a Monaco. Due giorni dopo ho preferito tornare alle mie montagne. Impossibile, per un uomo liberale e tollerante come me, vivere nella nazione che il mio paese è diventata”, nel 1938 chiederà ed otterrà le dimissioni dalle SS. Nel 1939 verrà trovato congelato sulle sue montagne, probabilmente suicida (forse avvelenatosi). Secondo alcuni la ragione del suicidio fu la presunta omosessualità che lo avrebbe, da lì a poco, portato, a sua volta, in campo di concentramento. Secondo altri venne ucciso perché sapeva troppo o non voleva rivelare abbastanza sul Graal (ipotesi alquanto fantasiosa). Certamente nel 1935 ebbe, sull’argomento, un carteggio segretissimo con Himmler, oggi perduto. Per chi sapeva quanto avesse intimamente abbracciato la fede catara fu un gesto simbolico. Rahn abbandonò volontariamente un mondo che si stava autodistruggendo. La fede catara permette il suicidio, ma solo come atto di auto dissoluzione dalla materia. Come mistica pulsione verso lo spirito. Così morì l’ultimo dei cacciatori del Graal. Inutile giudicarlo solo come un nazista (lo fu per obbligo e convenienza, cosa che, certamente, non lo scagiona dall’aver partecipato ad uno dei massimi orrori del novecento) o, peggio, come un satanista: il suo Lucifero non ha niente a che vedere con il Diavolo. Otto Rahn fu un archeologo ed un visionario che, per eccesso d’entusiasmo e per egoismo, commise degli errori che pagò caramente. Secondo Mario Baudolino, autore de “Il mito che uccide” (Longanesi), un uomo che cercava: «L'illusione del successo, per un periodo brevissimo; e trovò la morte. Per lui il Graal fu veramente “il mito che uccide“. Detto ciò, va aggiunto che Rahn è rimasto come un fantasma dietro la sua opera. Un fantasma ambiguo, ora dipinto come una spia nazista in territorio francese, ora come un ingenuo sognatore».

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