lunedì 29 marzo 2010

Perché i Vanzina, che ci stavano anche simpatici, ora hanno rotti i....


I fratelli Enrico e Carlo Vanzina, per il loro film “La vita è una cosa meravigliosa”, in sala dal 2 aprile con 400 copie, dicono di essersi ispirati al candore del quasi omonimo capolavoro di Frank Capra del 1946 e alla trama del premio Oscar tedesco “Le vite degli altri” (2006), nel quale un agente della Stasi vive per procura intercettando ignari dissidenti.
In questa pellicola, che non avrà la grazia di Frank Capra né l’introspezione dolente di Von Donnersmark, lo spione interpretato da Enrico Brignano ascolta invisibile le trame pseudo criminali di una clinica privata, nella quale lavora Gigi Proietti, chirurgo maneggione sposato con Nancy Brilli. Brutte notizie per l’orecchio dello Stato: tra raccomandazioni e mazzette scopre che la fidanzata rumena, brava ragazza di giorno, diventa escort la notte. Entra in gioco il politico Vincenzo Salemme e il gioco degli equivoci impenna; mentre l’immigrata, fedifraga per danaro, viene sostituita da una massaggiatrice “de borgata” (Luisa Ranieri).
I due fratelli, come sempre divisi nei ruoli di sceneggiatore (Enrico) e regista (Carlo), hanno implorato la stampa di non trovare nomignoli pasquali per il loro film: ci sono già troppi cinepanettoni e cinecocomeri. È irresistibile, però, la tentazione di definire il loro approccio artigianale e svagato: lo chiameremo cinema usa e getta.
I Vanzina, figli del grande Steno e profondi conoscitori della settima arte, sostengono che i meccanismi della comicità si ripetono sempre, come “un quadro al quale si cambi solo cornice”. Per giustificarli, perché sono simpatici, perché sono dei gran lavoratori e raramente li sentiamo vantarsi dei loro successi, sono state scomodate la Commedia dell’Arte e la perduta sensibilità popolare del cinema tricolore. Ma se è vero che la risata attinge sempre alle stesse sorgenti forse sono i suoi artefici che dovrebbero ingegnarsi e cambiare, dando un filo di speranza a un genere ridotto a parodia di se stesso. Vince, purtroppo, il gioco del cinismo (imposto anche dai produttori): realizzare velocemente, spendere poco, incassare il necessario. Fare cinema sempre più simile alla tivù e agli spot pubblicitari: come se l’Italia intera soffrisse di sindrome da deficit d’attenzione.
Ecco allora un mattatore del calibro di Proietti retrocesso alla barzelletta, la brava Nancy Brilli sopravvivere tra panettoni e cocomeri e Brignano, comico senza personaggio, più bravo sul palco che davanti alla telecamera, eletto nuovo vate della risata: ma Verdone, Nuti e Troisi avevano tutt’altro spessore.

Con questo film, che tira in ballo vallettopoli e corruzione assolvendo tutti, secondo il dictat che gli Italiani sono simpatiche canaglie (è la polizia che sullo schermo non va più presa sul serio…), si ripropone un dilemma amletico: stare o non stare al gioco? Questa non è satira (non punge) e non è farsa (non sovverte “mostruosamente” la realtà), è Carosello: battuta, rullo di tamburi, applauso e avanti un altro

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